di Antonio Picone
Nel cuore della città di Caltanissetta, e precisamente nell’antico quartiere di Santa Croce, si trova uno dei più prestigiosi e rinomati ristoranti della città: il “Ristorante 900” dove a cucinare piatti prelibati, unici e di alta classe è il talentuoso chef nisseno Andrea Romè.
Classe 1975, nato e cresciuto nel capoluogo nisseno, nel 2003 dopo gli anni di studio e diverse esperienze lavorative decide di trasferirsi a Roma per seguire una sua grande passione: la cucina. Inizia così un corso professionale presso un maestro di cucina che lo porterà a lavorare non solo nella capitale ma anche in varie città d’Italia e all’estero finché nel 2011 decide di tornare nella sua città natale.
L’ho incontrato presso il suo ristorante e ho subito avuto la percezione di aver davanti a me una persona estremamente garbata, molto riflessiva e di impressionante cultura. Fatte le dovute presentazioni, inizia la nostra intervista:
Iniziamo dalle origini: chi sono stati i tuoi maestri?
“Al primo posto, sicuramente, metto gli uomini della mia famiglia!
Tradizionalmente a casa mia, per le grandi occasioni e le feste, erano loro a cucinare soprattutto mio nonno e mio zio. Poi, uno chef che ho incontrato all’inizio del mio percorso in Calabria, in un villaggio turistico dove si cucinava giornalmente per mille persone ed eravamo circa cinquanta cuochi. Lui riusciva a farsi rispettare senza mai alzare la voce che, specie in una cucina ‘old style’ dove si respira un clima marziale e avendo che fare con giovani alle prime armi, non è affatto facile. Per quanto riguarda il lato artistico invece nutro profonda ammirazione per lo chef Massimo Bottura.”
Quale ritieni sia stata la tua esperienza formativa più importante?
“In un ristorante di Caltanissetta, ‘Sale & Pepe’, quando nel 2011 mi sono trasferito nuovamente nella mia città natale. È stata una sfida importante e come chef ho fortemente contribuito al successo che ha avuto quel ristorante dopo il mio arrivo.”
Sii sincero: hai mai combinato dei disastri in cucina?
Sorride, alza gli occhi come per ricordare e ci rivela:
“Sì, due! Una volta perché non ci siamo intesi bene con un cliente che aveva ordinato un pranzo per 400 persone ed io invece avevo capito un aperitivo. Andai a scusarmi personalmente con queste persone che erano sia arrabbiate che affamate e fu decisamente imbarazzante! La seconda volta durante la manifestazione del Taobook festival di Taormina dove, assieme ai grandi nomi come Carlo Cracco e Ciccio Sultano, fui invitato pure io come cuoco emergente. La cena cucinata da me, tutto sommato, andò bene ma non come volevo io a causa del locale e della strumentazione che mi era stata messa a disposizione: inadeguata ed insufficiente. Ci rimasi parecchio male!”
E adesso, con altrettanta sincerità: qual è stata la tua prima grande soddisfazione professionale?
Questa volta un grande sorriso accompagna la risposta e dice:
“Quando ho aperto il Ristorante 900 e quando siamo arrivati primi su TripAdvisor, che a suo modo è stato comunque un riconoscimento che non poteva che rendermi contento”.
Come definiresti la tua cucina?
“Direi ‘fusion’ nel senso di fusione tra stili diversi, ma a dire il vero questa parola non mi piace, troppo moderna rispetto alla cucina che faccio anche se letteralmente significa: mescolare, fondere. C’è un grande rischio però nel seguire stili diversi: si rischia perdere la propria identità e bisogna essere molto abili a non farlo!”.
Quali ritieni siano le influenze nella tua cucina?
“Tutta la mia vita! La mia concezione è che: ‘la cucina è un filtro tra gli ingredienti ed il piatto finale’. Il filtro nel mio caso sono i libri che ho letto, i piatti che ho mangiato sin da quando ero bambino e mi son rimasti in mente, i viaggi e le mostre pittoriche che mi hanno ispirato. Insomma la mia vita a 360° ”.
Qual è la cucina straniera che ammiri di più?
“Ammiro molto, forse più delle altre, la cucina francese perché mi piace la cucina sofisticata; apprezzo anche quella tedesca perché mi piacciono le cucine grasse dove c’è tanto burro o dove le patate si cuociono nel grasso del maiale e così via”.
E delle cucine regionali italiane?
“La Emiliana perché anche questa è grassa e unta, ma anche per la varietà e qualità dei primi e dei salumi. Mi piace pure quella pugliese e soprattutto una ricetta: le orecchiette strascichete (strascinate),molto simili ad un piatto nisseno che è tra i miei preferiti: la pasta alla viddenedda (contadina).”
Già che ci siamo, allora dicci come si cucina la pasta alla viddenedda ?
Con un espressione assai compiaciuta Andrea inizia il suo racconto: “Si tratta di piatto che veniva mangiato giornalmente a Caltanissetta nel dopoguerra e cioè la pasta con la verdura a foglia, coltivata o selvatica, fra tutte li mazzareddi (genere: brassica) che venivano raccolte dai cosiddetti fogliamari. Si fa bollire la pasta rigorosamente nella stessa acqua dove precedentemente abbiamo bollito la verdura e poi si condisce a crudo con olio, aglio e peperoncino. Un piatto semplice, povero e tradizionale che è forse tra i miei preferiti”.
E qual è il tuo piatto preferito?
Esita per un po’ e poi dice:
“Sono un paio! Uno è la carbonara: in dieci anni di esperienza romana l’ho vista cucinare in tantissimi modi, ogni chef ha la propria ricetta. L’altro piatto invece è un piatto che mi cucinava mia nonna e l’ho chiamato ‘c’era una volta’: è composto da un tortino di melanzane con caciocavallo accompagnato da fettine di pane dapprima immerso nel latte e poi nelle uova sbattute con caciocavallo e menta ed in seguito fritto in olio d’oliva”.
Qual è il piatto a cui hai dedicato più tempo nel realizzarlo?
“Un piatto che si chiama ‘Velo di Maya’, perché è stato un working progress di circa 4 anni infatti è partito in un modo e pian piano si è andato evolvendo. È a base di: panzanella ricavato da pane raffermo e acqua di pomodoro condita con aceto (mi piacciono molto i piatti di recupero!), sopra mettiamo dei gamberi arrostiti poi della mozzarella di bufala sifonata (la resa è paragonabile ad una nuvola) e dopodiché sopra la “nuvola” un disco sottile di gamberi rossi di Mazara e dopo pochi secondi in forno e viene finito in sala con una salsa di gazpacho.
…e quello a cui hai dedicato più tempo nel concepirlo?
“Direi la ‘stigliola di calamari’: taglio il calamaro per ottenere una fettuccina spessa mezzo centimetro e lunga un metro, per il ripieno mi mantengo sul tradizionale quindi uova sode, cipolletta, olive e al posto delle interiora metto tonno fresco con della mortadella. C’è voluto molto tempo per risolvere, per esempio, la tenuta dell’involucro o anche per decidere come presentarlo”.


Secondo te oggi come sono considerati i cuochi italiani nel mondo?
“Beh io credo che siamo molto stimati e considerati tra i migliori al mondo. Siamo anche aiutati dalle nostre tradizioni e dal nostro patrimonio storico-culinario. La grande cucina italiana nasce nel ‘500 alla corte dei Medici, ed nelle altre corti rinascimentali italiane, dove anche la cucina venne elevata ad arte”.
Quali sono le difficoltà per un giovane chef nel lavorare a Caltanissetta ed in generale nel centro Sicilia? E quali i vantaggi?
“Come vantaggio c’è il fatto che il centro Sicilia è un territorio vergine ma, a sua volta, risulta essere anche uno svantaggio perché si ritrova ad essere tale a causa della sua arretratezza riguardo molteplici aspetti. Qui la cucina gourmet non è arrivata e cioè la cucina che ha un prezzo superiore sia per il servizio che dai attraverso un personale qualificato, sia per la materia prima che si utilizza. Il cliente non è abituato e spesso non lo concepisce. Inoltre vi è d’aggiungere che anche la materia prima spesso è difficile da reperire, per esempio in zona mancano grossi distributori di materie prime d’eccellenza”.
Com’è nata l’idea del Ristorante 900 ?
Il ristorante è stato inaugurato il 20 Novembre del 2016. Il posto dove è ubicato l’ho corteggiato per molto tempo, ci tenevo che fosse in un quartiere storico della città, Santa Croce, e che si cucinassero ottimi piatti in un contesto armonioso, con le migliori materie prime e con la giusta musica di sottofondo. Insomma un ristorante dove nulla è lasciato al caso.
Perché hai scelto di chiamarlo così?
Dietro il nome 900 c’è un progetto fatto di idee, esperienze ed emozioni diverse che però convergono verso lo stesso punto: la memoria. Oggi sembra che la nostra società abbia completamente tagliato i legami col passato e con le nostre radici mentre io credo che non vi può essere futuro se non si guarda al passato.
È anche un piccolo omaggio allo scrittore Alessandro Baricco e il suo libro ‘Novecento’ che quando l’ho letto mi ha entusiasmato e ridato il piacere della lettura”.
Quali sono, ad oggi, le speranze e i progetti per il tuo futuro professionale?
“Allora visto che sognare non costa nulla, mi piacerebbe arrivare alla stella Michelin. Non è affatto semplice, lo so! Ma io come i miei miti letterari, Don Chisciotte della Mancia e Cyrano de Bergerac, sono un sognatore e quindi va benissimo così”.
Entrando nel ristorante 900 sono stato avvolto da un senso di serenità indescrivibile. Ambiente gradevolissimo dove ogni oggetto è messo al posto giusto, niente è sistemato a casaccio.
Il personale, altamente qualificato, fa da cornice a questo gioiello fortemente voluto dallo Chef Andrea Rome’.
Conoscevo di già la cucina dello Chef ma in quella occasione sono rimasto sbalordito dal salto di qualità effettuato.
Ogni portata è stata una sinfonia di cromazione di colori e sapori unici espressi dalla qualità dei prodotti e dall’estro culinario dello Chef.
Lo Chef? Come sempre cortese e attento ai giudizi della clientela merita senza dubbio più di una stella Michelin.