di Carmelo Sostegno
Ricordare bene cosa passa tra i pensieri di un quindicenne. E cercare di comprendere da dove arrivi la decisione di impugnare una pistola per commettere una rapina. Perché d’un tratto è davvero impressionante la risolutezza con la quale la maggior parte, tra social e social, tiri le somme sul punto, e la faccia assai facile in merito alle preoccupazioni educative cui la famiglia del minore avrebbe dovuto far fronte: la metà delle mani avrà serie difficoltà pure a fasciare un neonato, figuriamoci crescere un figlio in un quartiere difficile di Napoli.
Per lo meno, si potrebbe concordare che la coda di corresponsabili sia ben più lunga della suddetta. Perché zone come quelle in cui è cresciuto il minore di Napoli ucciso mentre tentava di rapinare un poliziotto (Scampia), tantissime e fittissime in Italia, non sono trattabili con letture filoaristocratiche del tipo: “eh ma la famiglia!”
Un giovane ragazzo che rapina, sostanzialmente, non è mai un ragazzo che rapina e basta. È tant’altro. C’ha addosso le colpe della famiglia, è vero. Ma una famiglia che ha un figlio che rapina, è più di una famiglia che non educa: è una famiglia che c’ha addosso le colpe dello Stato – Lo Stato a Napoli affronta le proprie difficoltà abbattendo edifici (crollano le Vele di Scampia), ma poi?
Dopotutto, però, uno Stato che ha una famiglia che, a sua volta, ha un figlio che rapina non è soltanto questo. È uno Stato che si porta addosso le colpe di una società che alimenta e continua ad alimentare i miti sbagliati, e sono questi che maledettamente rafforzano propositi criminosi di questo tipo: questo succede nel disinteresse, spesso griffato, di chi in queste situazioni rappresenta spesso la luce in fondo (un professore, una maestra, un prete, un allenatore che abbia il coraggio sincero di affrontare le realtà difficili come la Camorra e la mafia nascono ogni cento anni – la criminalità non la combattono soltanto le forze dell’ordine ma tant’è); questo succede in una società in cui si insiste sulla mitologia della criminalità organizzata (serie tv come l’edificazione di una grossa menzogna: la criminalità organizzata non nasce da musiche di sottofondo e collanine d’oro, sparatorie e inseguimenti); questo succede in una società in cui la maggior parte degli adolescenti è del tutto incosciente delle proprie azioni, ma consapevole di molte altre cose: che per sopravvivere e vivere bisogna stare al passo coi tempi, frequentare i posti “giusti”, indossare i vestiti giusti, l’orologio giusto, e ancora altro.
Detto altrimenti: le ragioni che portano a una rapina, e tristemente alla morte di un ragazzo, sono tante e non si riducono alla reazione di un derubato (mi guarderei bene dal fare a quest’ultimo un processo pubblico) né esclusivamente alle responsabilità di una famiglia difficile.
Le ragioni sono tante, e molto bene le conosciamo, le abbiamo conosciute tutti quanti, tranne chi vive in mondi paralleli le cui frasi preferite sono riempite di inni al dress code e di rimbombi di pistole, che poi quante ne avranno impugnate?!
Allora penso a Victor Hugo e a quella parte I de I miserabili. Ché bisogna sempre vedere da che parte passa la colpa: “Le colpe delle donne, dei fanciulli, dei servi, dei deboli, degli indigenti, degli ignoranti sono le colpe dei mariti, dei padri, dei padroni, dei forti, dei ricchi e dei sapienti (…) Il colpevole non è colui che commette il peccato, ma colui che ha fatto l’ombra”.
Commenti recenti