di Leonardo Pastorello

Ogni essere umano nasce, cresce e sogna per conoscere sé stesso, scoprire il proprio ordine di senso delle cose per metterlo alla prova, e avere come ricompensa qualcosa di fondamentale importanza: il riconoscimento. Chi sarebbe disposto a sacrificare la propria vita senza avere l’aspettativa di ottenere un riconoscimento sociale? Temo nessuno.

Questo interrogativo mi è tornato in mente oggi, a Bologna, seguendo le notizie provenienti da Facebook da parte di alcuni miei concittadini dispiaciuti per la perdita di “Katiuscia”, che in realtà si chiama Katia, cosa che ho appreso solo oggi.
Spero che mi sia concesso raccontare un triste episodio che mi lega a lei.


Ricordo Katia che ballava con “Santino Forza Roma” e altri due uomini davanti a un palco di un gruppo Metal alla Villa Cordova. Era il 2006, in villa vi era la festa di Liberazione, giornale del partito di Rifondazione Comunista. Qualche ora dopo il concerto della band, Katia si spostava verso la fontana, venendo aggredita da un gruppo di bambini, che le davano calci e sputi. Subito vidi un uomo correre per cacciare il piccolo branco di delinquenti – o “biliciari” – e Katia, sanguinante dal naso, riprese a bere.
Dopo quel 2006, ho incrociato pochissime volte Katia per strada, ma l’unico pensiero che mi viene adesso è: scusami, Katia. Avrei potuto fare di più.

Immagine presa da Pagina Facebook: “Un giorno da nisseno”.