di Daniela Ginevra e Alessandro Riggi (@live_for_travel – Dany & Alex)  Travel Blogger – Photographers – Youtubers

Esattamente un anno fa, immersi nei preparativi del matrimonio, mi trovai di fronte alla scelta più difficile di tutte: dove andiamo per il viaggio di nozze?! Era una sera d’inverno, di quelle un po’ nostalgiche. Cominciammo a guardare il mappamondo come facciamo sempre.

Io direi di puntare sull’Australia, però pure la Cina…”,“Eh però anche il Giappone”, “No ma il Giappone non ha un clima buono a settembre”, “Allora la Polinesia”, “Eh però anche l’America meriterebbe”…“Mah… non lo so, aiuto, non so scegliere”.

Fu in questa totale indecisione, tra mille però, che andammo a dormire. E se è vero che la notte porta consigli, il giorno dopo mi alzai con un nuovo pensiero: “perché dover scegliere tra Asia, Oceania e America, quando posso vederle tutte in un colpo solo?!” Ecco che quel mitico giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne, quell’assurda impresa di circumnavigare la terra, sembrò essere all’improvviso la risposta alle nostre domande. Ma come fare?? Beh nel 1873 non c’erano i mezzi di oggi… “Non abbiamo bisogno di 80 giorni. Ce ne bastano 35!” E fu così che ci mettemmo all’opera per realizzare quel sogno impossibile, ma era forse più difficile a dirsi che a farsi. In poche settimane avevamo già i biglietti tra le mani!! Ben 9 voli internazionali delle migliori compagnie, prenotati tutti online a prezzi super scontati! Non mi sembrava vero. Che fortuna essere nati nell’era di internet.. La vera difficoltà fu la scelta delle tappe. Settembre non era un mese ideale per il continente asiatico. Quasi tutti i paesi sarebbero stati in piena stagione piogge e tifoni. Uno solo si salvava: la Cina. Ed eccola qui la nostra prima tappa, dettata dal clima sì, ma anche e soprattutto dalla curiosità di scoprire la vera Cina, quella che avevo sempre immaginato rossa, dorata e millenaria. Mi vedevo già sulla Grande Muraglia e alla Città Proibita. Mi vedevo salire sui tetti di Shanghai, districarmi nelle strade più caotiche del mondo, tra milioni di facce cinesi tutte uguali, cartelli dalle scritte incomprensibili, odori forti e nauseanti. Sì questa era la Cina che aspettavo.

E poi però ci avrebbero aspettato 10 ore di volo.. verso dove? Verso Sud, molto a Sud, quasi al Polo Sud. Ebbene sì, era l’Australia, la nostra seconda tappa, come non metterla…Saremmo passati dall’estate all’inverno in poche ore. Che importava. “Andiamo sulle Blue Mountains a trovare Giuliana”. Fu la prima cosa che mi venne in mente. Si era trasferita proprio lì la mia cara amica d’infanzia, dall’altra parte del mondo. Ad un’ora dalla splendida Sydney, nel cuore di una natura incontaminata, di una bellezza rara. Tutto sembrava farsi più chiaro. Cominciai a fantasticare casette, canguri, precipizi, scogliere, onde giganti, surfisti, mare d’inverno. E soprattutto io e lei, ormai grandi e sposate, divise da due emisferi, di nuovo insieme come i vecchi tempi. In fondo erano cambiati i continenti, ma noi no.

Dall’Australia all’America poi beh.. non era un attimo, ma quasi 14 ore di volo! “Dobbiamo inserire una tappa intermedia nel mezzo del Pacifico, un’isola sperduta, non so un posto di quelli inarrivabili”. E fu così che la scelta ricadde sulle Hawaii. Sarebbe stata Oahu la nostra terza meta, quella magica isola verde, lussuosa e selvaggia al tempo stesso. Per raggiungerla avremmo attraversato la famosa Linea del Cambio Data, tornando indietro di 10 ore. Significava rivivere due volte la stessa giornata. Era quasi surreale! All’inizio m’immaginai 5 giorni di mare e relax, ma poi le idee divennero tutt’altre! Mi vedevo girovagare a bordo di una macchina, alla scoperta di foreste tropicali, tramonti e panorami mozzafiato. Queste dovevano essere le nostre Hawaii.

Sarebbe arrivata al 21° giorno la nostra ultima tappa: il mitico Ovest Americano. Solo 4 anni fa avevo lasciato il cuore a Est. Adesso ero pronta per un’altra America, decisamente opposta di nome e di fatto. La immaginai come il finale perfetto, quello che lascia il segno.

Dobbiamo fare un On The Road nei deserti degli USA”, “Assolutamente sì”. Non c’erano dubbi su come avremmo trascorso le ultime 2 settimane. Da soli sulla strada, a macinare km e dormire nei motel.. beh magari quelli con qualche stella in più! E così iniziammo alla vecchia maniera comprando un’enorme cartina. La poggiai sul pavimento e segnai le strade. Mi sembrava di essere tornata ai tempi del camper, quando non esisteva il cellulare. Fu la prima emozione. Da lì la fantasia si spinse ai deserti rossi dell’Arizona, ai mille canyon, a quelle strade sperdute e leggendarie, alla Route 66. Quanto avrei voluto attraversarla tutta da Chicago a Los Angeles! Beh accontentiamoci di un piccolo tratto, l’importante era arrivare all’immancabile cartello di Santa Monica che segna la fine della strada: lì avremmo salutato l’America per tornare a casa. E fu così che partorimmo anche quest’ultimo itinerario tra California, Nevada, Utah e Arizona. Più lo guardavo e più sentivo che anche lì ci avrei lasciato il cuore.

Non sapevamo quali emozioni avremmo portato ai piedi del The “End of the Trail”. Saremmo arrivati soddisfatti? Stanchi? Delusi? Felici? Chi poteva dirlo. Un giro così lungo non sai mai quello che ti riserva. La nostra unica certezza era avere i biglietti tra le mani. Ci sentivamo pronti per sfidare il fuso orario e conquistare il mondo.

Che sarebbe stato più semplice del previsto non l’avevamo immaginato. Che il vento ci avrebbe perseguitato, no non potevamo saperlo. Che avremmo sopportato egregiamente tutti i fusi del pianeta tranne l’ultimo, neanche! Ebbene sì… l’ultimo ci ha letteralmente stecchito a terra! Ma questa ve la racconto un’altra volta..