di Federica Dell’Aiera
Una strampalata famiglia di pupazzi umani, attraverso quadri ironici, ci trasporta nella realtà che stiamo vivendo: immersi in una società iperconnessa ed in continua performance mediatica. In fin dei conti però una società più sola ed alienata.
In quello che è un panorama di contingenza di esperienze e contenuti rintracciati sulla base della serendipità, nascono narrazioni e rappresentazioni di massa. La rete è lo spazio della sovraesposizione individuale di massa in cui è cambiato il nostro senso della posizione nella comunicazione: da oggetto bersaglio di comunicazioni mass mediali a soggetto attivo che si serve della tecnologia per rimanere connesso in pubblico. Attraverso i social network costruiamo la nostra identità e riflessività connessa. Così produciamo, distribuiamo e fruiamo nuove forme simboliche e nuovi significati che ci servono per abitare il mondo.
I media non sono solo il mezzo per comunicare, ma producono anche esperienza attraverso cui l’individuo afferma la propria identità. Quest’ultimi modificano le relazioni e la concezione di esse. Le maschere di questa famiglia rappresentano la standardizzazione a cui si è arrivati partendo dalle variabili emotive e materiali che contraddistinguono il singolo individuo, il quale attinge da un fondo comune riconosciuto nei gruppi di interesse ma che alla fine, risultano equivalenti. Ne consegue una perdita identitaria, quella che la famiglia in scena cerca e ricostruisce, attraverso tentativi di ritorno alla realtà e alle dinamiche di condivisione relazionale.
L’epoca moderna vive la frattura tra la forma dell’esperienza e della sua rappresentazione, la realtà reale e la realtà fittizia. Al punto che l’esperienza del singolo viene costruita attraverso forme di rappresentazione contenenti l’astrattezza di vissuti eterocostruiti. È una realtà costruita su vissuti esterni e socialmente condivisi e condivisibili ai quali attinge l’immaginario collettivo.
Sul palco una madre totalmente alienata, in quanto abitante fissa dei social network, e i suoi figli iperconnessi impegnati ad immortale ogni singolo momento della vita reale. A partire dal romanzo ottocentesco, oggi molte informazioni vengono miscelate con elementi finzionali. In questo modo la performance continua che mettiamo in scena per il pubblico della rete, è una discontiuità tra realtà reale e finzionale di cui siamo parzialmente consapevoli. In il continuo sconfinare dalla realtà reale, rappresentata dai numerosi tentativi di un padre che cerca di ricompattare una famiglia che alienata vive la rete, alla finzione e alienazione, non fa che rappresentare perfettamente il cambiamento che la nostra società sta vivendo.
I tentativi fantasiosi e divertenti del padre ci riportano dunque alla realtà, strappando un sorriso riporta la gioia degli affetti, la bellezza della vita e della condivisione, quella realtà che solo staccando gli occhi dallo schermo può essere vissuta.
Gli interventi divertenti, allegri, coinvolgenti e pieni di brio sono alla fine rimedio e cura alla tempesta di solitudine, noia e dipendenza che affligge questa famiglia.
Con musiche trascinanti, luci colorate e sketch divertenti che hanno coinvolto e catturato il pubblico, Los 4 Cobre hanno perfettamente rappresentato la realtà di oggi e i cambiamenti in atto della società.
La quotidianità che viviamo, il modo di concepire le relazioni oggi in tempi e luoghi non materiali, il raccontarsi e mettere a frutto le esperienze e i vissuti in un incessante scambio e condivisione, coincide con la creazione di nuove forme di autorappresentazione. Questa tendenza fa dell’individuo un produttore mediale di narrazioni finte giacché pensate per un pubblico, in logiche di massa, dunque poco autentiche ma perfettamente in linea con la costruzione dell’identità. Ci raccontiamo su Facebook, postiamo il nostro pranzo su Instagram, compriamo online e, solo dopo un’attenta analisi delle recensioni di altri utenti, concepiamo la nostra esistenza, gli altri e il mondo che ci circonda in un continuo gioco online e offline, interconnessi, iperconnessi.
Così lo smartphone diventa estensione corporea senza la quale è difficile immaginarci e pensarci e la cui privazione genera ansia, panico e atteggiamenti compulsivi. È la riflessione che lo spettacolo ha lasciato. È una riflessione che ci sfugge.
bellissimo spettacolo