Di Federica Dell’Aiera

Il sipario si apre svelando una scenografia semplice. Un soggiorno colorato, una scala e una struttura metallica ad elica dalla quale pendono decine di orologi. “Non farmi perdere tempo- tragedia comica per donne destinata alle lacrime” è il secondo spettacolo della stagione del teatro Regina Margherita. In scena un monologo intenso scritto da Massimo Andrei ed interpretato magistralmente da Lunetta Savino.

Il titolo svela o meglio, prepara lo spettatore a delle risate amare. Il dramma racconta il declino di una giovane donna affetta dalla Sindrome di Werner, l’invecchiamento precoce, rara malattia che cambia il corpo ma non lo spirito della giovane protagonista.

Tina ha 27 anni e l’aspetto di una donna sessantenne. È una giovane anziana, allegra e nostalgica, fragile e determinata, in fin di vita ma con una voglia di divorare la vita che è quasi inspiegabile per quanto entusiasmo e positività porta con sé. È un ossimoro vivente perfettamente rappresentato in scena. 

In platea viviamo i desideri e le aspirazioni quasi realizzabili e questi strappano un mezzo sorriso, e quelli irrealizzabili la cui forza distruttiva sbriciola in poche battute il cuore dello spettatore. La narrazione del declino si svolge tra alti e bassi, tra fantasia e realtà. Il tempo scorre inesorabile, è tiranno ma è prezioso, scorre veloce ed è il tempo delle aspirazioni, dei desideri, delle diatribe familiari, degli amori che fanno soffrire, dell’amicizia sincera e della quotidianità che ovviamente non si ferma per lasciare spazio ad un tempo dilatato ed ampio in cui realizzare e portare a termine sogni e desideri. 

Il poco tempo che le rimane lascia una riflessione importante che scarta procrastinazioni e ripensamenti: “o realizzo o tolgo di mezzo”. Questo tempo beffardo si prende gioco di lei. È impossibile contare il tempo come tutti fanno, i suoi anni sono 27 ma sono 60 e le avversità non fanno che ricordarglielo e fare i conti con il tempo che le rimane è difficile ma non la scoraggia. Forse per questo l’ilarità, l’autoironia e la fantasia sono stratagemmi per esorcizzare i pesanti fardelli che porta. Le grandi assenze, la famiglia opportunista, la maternità impossibile, la solitudine, l’amore non corrisposto diventano così benzina che muove la ricerca dell’essenza della vita e nutrono il bisogno di vivere la parte migliore che le rimane. 

La positività, l’energia motrice della vita e la volontà di farne ciò che più desiderava ci ha fatto dimenticare la fine scontata di Tina, ci ha fatto sperare in un’ascesa, seppur la curva della sua vita fosse un riassunto di vita ormai in discesa. E invece la fine era proprio lì, dietro le quinte, tra i desideri rimasti tali e i sogni infranti. I sogni che però le hanno fatto compagnia e le hanno fatto fare della vita ciò voleva.

La fine arriva e rimane aperta. Non si chiude come il sipario. Il tempo che abbiamo a disposizione non è infinito ed è prezioso e spesso ce ne dimentichiamo. Individuare il tempo e impadronirsene, farne risorsa ed energia per la ricerca della vera essenza della vita e viverla pienamente è sicuramente è il consiglio che colpisce lo spettatore. La caducità della vita dovrebbe ricordarcelo. 

Non passa inosservato, tra le righe del monologo, la tematica della morte assistita, del lavoro volontario di associazioni nel supporto psicologico e non solo di pazienti affetti da rarissime malattie, prezioso lavoro che copre le falle di una sanità impreparata e fittiziamente laica.