Di Leonardo Pastorello

In occasione dell’inaugurazione del Salus Festival, il filosofo, accademico e promotore delle pratiche filosofiche in carcere, Giuseppe Ferraro dell’Università Federico II di Napoli, ha dato il suo contributo al dibattito sullo stare bene e sulla prevenzione. La redazione di LAO propone tre interrogativi filosofici per trovare interessanti punti da approfondire dopo l’articolo dell’anno scorso sul caso DJ Fabo.

Qual è la differenza tra l’essere in salute e lo star bene?
”Essere in salute significa fisicamente non avere degli acciacchi o malattie. Lo stare bene richiama lo stare male, in quanto espressione di malessere: non basta lo stare in salute per stare bene. Se uno non sta bene – senza prendersi cura di se stesso – non ha cura della propria salute. Lo stare bene diventa importante perché è la capacità di amministrazione di se stessi e dei rapporti con gli altri. La salute, di per sé, non basta: uno degli esempi che lo dimostra è quello dei condannati a morte, che prima dell’esecuzione devono stare in salute; ciò implica che venga uccisa la vita, perché chi sarà sottoposto all’esecuzione, pur essendo in salute, non starà certamente bene”.

Qual è il nesso tra il desiderare e lo stare bene?

”Chi sta bene, desidera. Il desiderio appartiene allo star bene. Chi non sta bene non desidera nulla. Il depresso non desidera. Il desiderio è la misura dello stare bene, è l’effetto preciso dello star bene”.

Quale sarebbe il contributo della filosofia alla sanità?”Kant diceva che sarebbe importante la dietetica, ossia la ginnastica dell’anima. Nella cultura greca, ad esempio, era di vitale importanza la kalokagathia – l’idea di perfetto status fisico e morale umano -, che è più importante del mens sana in corpore sana; bisognava essere belli e buoni, ossia essere non solo fisicamente belli – forti, in salute – ma anche virtuosi”.


 I suggerimenti filosofici proposti dal filosofo napoletano evocano, in primo luogo, l’antica concezione della vita buona: l’uomo non è felice – dunque, non sta bene – se non agisce nel segno della virtù. Questa concezione ellenistica della felicità si chiama eudaimonia, termine che deriva dall’unione di eu (buono) e daimon (demone); quest’ultimo non va inteso nei termini biblici, ossia come intelligenza maligna, ma come coscienza, voce interiore, linea guida razionale delle nostre azioni; in secondo luogo, Ferraro pone il tema del desiderio nel quadro di un presente ammalato di mania di possesso. Il desiderare ci rende vivi e parte di un meccanismo in cui si tende a cambiare se stessi all’insegna della crescita morale. Lo star bene di cui Ferraro parla, implica anche questa dinamica: per essere virtuosi, necessitiamo di una crescita, di una tendenza alla Bellezza che ci renda partecipi di una vita viruosa con noi stessi e con gli altri. Al fine di realizzare questa linea d’azione, la salute pubblica deve tener conto della differenza tra lo star bene e lo stare in salute.