Giorni 2 – 4 – Zagabria

L’autobus parte puntuale dalla stazione di Mestre. Ho il tempo necessario per finire il libro di Michele Serra e iniziare a scoprire il premio Nobel Ivo Andric. Ci fermiamo a Trieste e a Lubiana e riaffiorano i ricordi dell’estate appena trascorsa con Claudia, tra Piazza Unità d’Italia e la Ljubljanica. A Trieste si accomoda accanto a me un gigante croato, si chiama Jole, ma questo lo scoprirò soltanto alla frontiera croata. Ci fanno scendere due volte nel giro di cento metri per controllare i documenti. Bye Bye Area Schengen, penso. Mi presento e chiedo a Jole se è una procedura standard. Risposta affermativa. Scopro che il mio vicino di sedile ha appena finito un anno di ricerca all’Università di Trieste ma l’INPS non vuole riconoscergli l’indennità di disoccupazione per questioni di residenza. La Croazia è entrata nell’UE da un po’, ma il funzionario INPS sembra non esserne al corrente. Suggerisco di rivolgersi ad un patronato. L’Italia è tutta così, da Ragusa a Trieste: per ottenere quello che ti spetta devi rivolgerti qualcuno che conosca la macchina, guai a richiederlo direttamente. Prima di salutarmi, Jole mi chiede dove alloggio. “Swanky Mint”, rispondo incerto. “Oh, you will have fun there”, è la rassicurazione che ricevo.

Venerdì mattina è in programma un tour guidato della città. Cerco di farmi trovare all’appuntamento, previsto per le 11:00. Mi fermo un attimo a parlare con un mio compagno di stanza. Viene dal Sudan e mi dice che la Serie A è il suo campionato preferito. Nessuno è perfetto e lui, ad esempio, è milanista. Sono le 11:15 e non c’è traccia del tour. La receptionist si scusa, si è scordata di avvisarmi che il giro è stato cancellato. Devo fare da me. Accanto alla cattedrale scorgo un vecchio bus ”Citysightseeing” e decido di diventare lo stereotipo del turista per un giorno. Il simpatico autista ci porta in giro per Zagabria. La città mescola il vecchio e il nuovo con una sfrontata semplicità. Case segnate dalle ferite del passato lasciano il passo a edifici futuristici a distanza di pochi metri. La città vecchia è una chicca. In piazza San Marko si concentra tutta la vita politica del Paese. Il palazzo del Governo e il palazzo del Parlamento si guardano dritti in faccia a distanza ravvicinata. Un paio di giornalisti attendono di intervistare il politico del giorno. Terminato il tour vado a pranzare da “Heritage”, un piccolo locale con un menù economico e tipicamente croato. Mangio formaggi squisiti provenienti dall’Isola di Pag, incontrando per caso dei ragazzi che alloggiano allo Swanky Mint.

Passo il pomeriggio in ostello. È veramente bellissimo. Una struttura post-industriale con al suo interno due terrazze, una piscina e un ristorante fusion cinese. Pare che mi trovi nel soviet hipster più importante della Croazia. Scopro che il mio coinquilino del Sudan si chiama Mohammad, per gli amici Cush. C’è Jakob che viene da Friburgo ed è bravissimo a fare il giocoliere. Conosco anche un ragazzo israeliano che suona uno strumento enorme mai visto prima, il didjeridoo. Il segreto sta nella respirazione circolare, mi dice. Passiamo la sera a mangiare spaghetti, bere del vino e parlare di socialismo. Jakob è sostanzialmente un grillino tedesco di sinistra. Penso che se i grillini fossero tutti in Germania mi starebbero anche simpatici. Cush è felice di poter parlare di politica con degli europei. Ci spiega come i nostri civilissimi Stati continuano a sfruttare economicamente la loro terra. Per questo è dovuto andare a lavorare in Qatar, dove i diritti dei lavoratori non sono comunque degni di uno Stato moderno. A fine serata Cush mi dice che ha 52 anni. Devo ancora capire se ero ubriaco io, se mi ha detto una bugia o se in Africa si cresce semplicemente meglio.

Adesso riprendo lo zaino, chi si ferma è perduto.

Alessio Amorelli, Diario di bordo