Giorno 1 – Venezia
Uscire dalla propria comfort zone non è mai semplice. Implica disagi quando va bene, traumi quando va male. Salutare con lo zaino in spalla non equivale a una trasferta di lavoro, significa mettersi in gioco, guardare in faccia i propri limiti, convivere con le proprie paure. C’è un tempo per tutto e ieri era giunto il momento di iniziare a camminare.
Non avevo mai preso un autobus a Lampugnano. A nord ovest di Milano, la stazione ospita una quantità non calcolabile di storie e un tabellone delle partenze che funziona a targhe alterne, nel senso che se va bene segnala una partenza su due. Coerentemente con la legge di Murphy, sul tabellone non c’è traccia del mio bus. Mi accorgo che una signora dall’accento slavo lamenta in spagnolo (non chiedetemi perché) l’assenza di informazioni relative al mezzo di trasporto che dovremmo condividere. Accanto alla biglietteria trovo un latino che mi rassicura: “lascia perdere il tabellone, l’autobus arriva, assicurati soltanto che il numero corrisponda a quello indicato nel biglietto”. Bon, mi tranquillizzo. Nel dirigermi verso la piazzola di mia competenza, noto che la signora dall’accento slavo di cui sopra è molto impegnata ad urlare al telefono, probabilmente con l’assistenza clienti di Flixbus. Sorrido e attendo di salire sul bus. Dopo un paio di minuti dalla partenza mi rendo conto che manca la signora, un po’ mi dispiace. Ci tornerò.
Venezia è bellissima. Avevo sentito molti pareri negativi a riguardo: “ormai è come Gardaland”, “pensano solo a spolpare i turisti” e via andando. Forse perché l’ho visitata al tramonto, Venezia mi è sembrata incredibilmente affascinante. Piazza San Marco, per fortuna senza l’ombra delle famose grandi navi, è bella da togliere il fiato. La vista dal ponte di Rialto non è da meno. L’aperitivo in un “bacaro”, un’antica osteria veneziana, ti insegna che anche nel tempio del turismo cosmopolita è possibile bere un cicchetto con un tramezzino e una porzione di baccalà. Sono bastate un paio di ore per comprendere che la promozione del turismo in Italia è una continua e incessante emulazione di Venezia.
Torno a Mestre, dove ho prenotato l’ostello. Appena fuori dalla stazione trovo la signora dall’accento slavo che sorridente carica le valige sulla macchina del probabile compagno. Tutto bene quel che finisce bene.
Sono piuttosto stanco e decido di guardare Barcellona Inter nella hall accompagnato da una gioventù rumorosa e felice. Deluso dal risultato della partita e dall’impiegato della reception che ha vietato ai ragazzi spagnoli di suonare la chitarra, salgo in stanza a dormire.
Nel letto di fronte al mio riposa un signore che ha almeno 65 anni e un aspetto abbastanza trascurato. Dormirà come un sasso, penso. Manco per il cazzo. Alle 4 accende la sua torcia cercando non so bene cosa, arrendendosi poco dopo, quando il ragazzo americano situato nel letto a castello sopra di lui si mostra – a ragione – infastidito. Esercizio che si ripete intorno alle 6:30, accompagnato questa volta dagli improperi in inglese dell’anziano signore. Mi ricordo che voler bene all’umanità è faticoso, soprattutto nei dormitori. La fatica non mi ha mai spaventato troppo. L’intolleranza mi fa decisamente più paura. Tra non molto parte un altro autobus. Bisogna continuare a camminare.
Alessio Amorelli, Diario di bordo.
Commenti recenti