Di Carmelo Sostegno
C’è una storia. È tra le più care che la nostra isola conserva. Racconta di un uomo rigorosamente ribelle, un coraggioso insospettabile.
Il nome del protagonista è Salvatore Petrone: racalmutese, procuratore siciliano durante gli anni del fascismo; per tempo, uomo di fama. Petrone vive l’ascesa e la caduta del regime, le folli, ingestibili derive sciovinistiche dell’Italia, e le vive in Sicilia, in particolare a Palermo e nella nostra Caltanissetta “piccola Atene” per la casa editrice Sciascia e nella nostra Caltanissetta dal primato inatteso – “la prima sentenza di condanna a morte durante il regime venne emanata proprio dalla Corte del capoluogo”.
Nel ’32, Salvatore Petrone era giudice a latere dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo, quando imputato era Giuseppe F., accusato di triplice omicidio, e quando in Italia i processi venivano risolti da un’opinione pubblica affetta da un epidemico dormire con le porte aperte. Tutto un popolo invocava a gran voce la pena di morte di cui il Codice Rocco.
Nonostante le voci del popolo, nonostante la visione ciecamente retributiva del Presidente della Corte sostenitore a spada tratta della pena capitale; nonostante la macchina giudiziaria appartenesse di fatto al regime giustizialista, Petrone non riuscì a ignorare il grande errore che stava per essere commesso. Quindi convinse alcuni membri della giuria. Redasse la sentenza, e Giuseppe F. non venne fucilato piuttosto condannato all’ergastolo.
Che Petrone fosse contrario alla pena di morte è molto probabile, ma quanto riuscì a ottenere concerneva una spiegazione sensibilmente altra: «l’applicazione della pena capitale sarebbe avvenuta al di fuori dalla fattispecie di legge».
Il giudice racalmutese, come racconta il giornalista Gaetano Savatteri ne I siciliani, non ignorava la pericolosità del reo, né in alcun dubbio metteva in discussione che l’autore di quegli atti feroci fosse Giuseppe F., né ignorava le assai affidabili dichiarazioni rese dai testimoni oculari durante il processo, e così la credibilità della confessione dello stesso imputato, ma specificava che i tre omicidi fossero da ricondurre a un disegno criminoso unico piuttosto che separato, cosa che di fatto implicava per legge l’applicazione di una pena diversa rispetto alla morte.
Poco tempo dopo la “mite” sentenza venne però cassata. L’imputato venne processato un’altra volta e condannato alla pena capitale.
Petrone non riuscì a salvargli la vita, ma lasciò al paese un’importante lezione di diritto, spiegando le difficili cose della giustizia, i misteriosi rapporti tra quest’ultima e la legge, quel rigore del giudice solo quando di fronte alla legge giusta. Il coraggioso Petrone sfidò il fascismo eternamente, che di fatto la sua carriera restò compromessa pure dopo la fine del regime, ma altrettanto di fatto il suo onore restò intatto fino alla morte. Sciascia, che nel romanzo Porte aperte s’ispirò alla storia di Petrone, scrisse che il giudice, ritirandosi nel silenzio del proprio isolamento, finì per “vedere il processo come il punto d’onore della vita, dell’onore di vivere”. La legge è forse giusta quando permette agli uomini di vivere con onore?
La storia di Petrone ci permette di rendere conto fin dove può spingersi la giustizia dell’istinto e il nostro sentenziare. Il giudice è bocca della legge quando la legge viene dall’incontro tra più parti e senza il sapore delle bassezze umane. La legge, per questa via, e solo per questa, ha un valore superiore. È quest’ultimo che entra nelle aule di Tribunale (o almeno dovrebbe), è questo valore superiore che entra nelle caserme (o almeno dovrebbe), negli istituti penitenziari, nelle decisioni di governo. È questo valore superiore cui si ispira (o almeno dovrebbe) la condotta degli uomini dentro e fuori le istituzioni e sul quale non si può discordare. Il Senso dello Stato, inteso come senso del rigore giusto, è indispensabile per la vita sociale degli uomini, è la lente attraverso la quale meglio giudicare l’umanità degli uomini.
Non è un discorso a intermittenza, inevitabili le perplessità sull’attuale stato delle cose, ma è una lezione da tenere viva assai. Le porte potranno anche essere aperte, ma non è detto che il sonno sia tranquillo davvero, l’aria sia fresca o, ancor più, l’aria le attraversi. Dentro casa c’è sempre un campo del vasaio che senza giustizia si riempie, terra comprata al prezzo della sofferenza inferta.
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