Di Federica Dell’Aiera

È morto oggi, 17 luglio il maestro Andrea Camilleri. Appena un mese fa era stato ricoverato in gravissime condizioni. Ci lascia a 93 anni per un arresto cardiaco.

Lo scrittore di Porto Empedocle si è dedicato completamente alla scrittura, dando alla luce oltre cento opere. Dalla sua penna nascono le avventure del commissario Montalbano di Vigata, città immaginaria nata dall’unione di bellissime località tra il ragusano e l’agrigentino. I romanzi che raccontano delle avventure del commissario hanno dato vita ad una fortunatissima fiction di Rai Uno che vanta di migliaia di spettatori e che ha contribuito allo sviluppo turistico della nostra terra, creando itinerari speciali che scoprono i luoghi delle rocambolesche avventure vissute dal commissario. Nel 2006 Camilleri ha espresso la volontà di pubblicare post mortem l’ultimo libro della saga del commissario, già consegnato all’editore Sellerio. Una piccola consolazione che rinnova la memoria degli ammiratori dell’ormai defunto autore.

Nella sua vita, Andrea Camilleri è stato regista, autore teatrale, saggista. È stato il primo ad aver diretto uno spettacolo del celeberrimo Samuel Beckett nel 1958. La sua carriera nel mondo della narrativa inizia soltanto nel 1975. Con la sua opera ha portato la cultura siciliana in tutto il mondo ed i suoi romanzi sono stati tradotti in più di quaranta lingue.

Seppur criticato spesso di sicilianità falsa, poco credibile, “da cartolina”, l’opera di Camilleri rimarrà cara ai suoi lettori per aver trasmesso una ventata di sicilianità positiva, per aver raccontato i luoghi e la cultura della nostra amata isola attraverso un nuovo linguaggio, creato dalla sua penna e dalla riflessione sulla sicilianità: “Mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l’equivalente nella lingua italiana. Non è solo una questione di cuore, è anche di testa. Testa e cuore”.

Il “vigatese” è la caratteristica speciale di tutti i romanzi di Camilleri. È una lingua inedita che occupa un ruolo molto importante nei suoi testi, perché li rende particolari, dipinge i personaggi, descrive l’ambiente e fa conoscere la Sicilia, e probabilmente molti lettori si saranno tanto appassionati a questa peculiarità dei romanzi da sancirne il grandissimo successo. Nonostante questa lingua che non sia nè siciliano né italiano puro, riesce con stratagemmi linguistici e strutturali ad essere di facile comprensione anche al non siciliano. Il vigatese trasmette e mantiene l’identità siciliana, perché alcuni pensieri difficilmente sono esprimibili con una semplice operazione di traduzione in italiano. I testi partono dall’italiano e si “sporcano” di termini dialettali in un’operazione lessicale che fa comprendere facilmente l’intera frase anche a chi il siciliano non lo conosce. Riportiamo alcuni esempi: “Buongiorno sono il commissario Montalbano. Stamattina, per caso ha visto tràsiri o nèsciri dal portone il signor Lapecora?” Il portone è l’elemento chiave che fa immediatamente comprendere i verbi in siciliano.

“Montalbano riunì le punte delle dita in su, a cacòcciola, a carciofo” (dal Ladro di merendine). Un altro espediente ricorrente è l’uso della glossa, ovvero la spiegazione italiana accostata all’elemento dialettale. Questo espediente ha arricchito di sicilianità ogni singolo lettore, avvicinandolo a costumi, tradizioni e cultura e lo forma, migliorando le sue competenze pagina dopo pagina, tanto da riusare il termine dialettale senza glossa. La lingua inoltre caratterizza e fa il personaggio, tanto da essere elemento esplicativo che definisce in modo peculiare il carattere ed il pensiero del personaggio. Basta leggere “Lei, dottore Montalbano, proprio lei di lei di persona?” (dal ladro di merendine) per intendere subito che a parlare è il simpatico Catarella, perché il linguaggio è strettamente legato alla comicità.

“Dopo diversi tentativi ho capito che l’unica mia voce possibile sarebbe stata quella che io parlavo in famiglia, sia pure con le differenze che ci sono fra il parlare e il scrivere. C’è stato un lavoro successivo ma il tessuto di base era questo parlato familiare, un intreccio di dialetto e la lingua italiana, ho usato le parole chiave in dialetto, invece quelle che stabilivano un ordine nella scrittura erano in italiano.”

Ci lascia dunque un autore che ci ha riempito di orgoglio, un autore che con la sua lingua ha esaltato le bellezze della Sicilia e dei siciliani, un uomo che nella contemporaneità non verrà solo ricordato come la penna che ha creato Montalbano, ma anche e soprattutto come uomo tenace, forte e franco a cui un po’ tutti ci siamo affezionati, lettori e non.

Le sue opere ne conserveranno la sua memoria.

Addio Maestro.