di Leonardo Pastorello

Tracciare le origini delle pulsioni dell’uomo è ambizioso, soprattutto per un autore come Frazer. Il viaggio
frazeriano – ampiamente e criticamente descritto da Giacomo Scarpelli ne Il razionalista pagano, in
libreria per la casa editrice milanese Meltemi – comincia con l’accurata analisi delle fonti di Pausania,
utili per il padre dell’antropologia culturale per la sua indagine sulle antichissime origini dei culti Greci,
elaborate in un suggestivo quadro speculativo influente per la cultura europea novecentesca. Nel 1874,
Frazer fu ammesso al Trinity College di Cambridge per intraprendere i suoi studi accademici classici. Di
fondamentale importanza furono anche gli studi giuridici e dell’evoluzionismo di Darwin e Spencer, e da
quest’ultimo si avvicinò alla tesi secondo cui le culture presentano un graduale sviluppo che le rende
comparabili tra loro.

Com’è noto, il viaggio in Grecia di Frazer rappresenta una magica avventura: l’arrivo a Micene – teatro delle tragedie di
Sofocle, Eschilo ed Euripide – è stato particolarmente prezioso per la scoperta di resti che presagivano a un mondo cruento
in cui è tracciabile l’origine dell’Io antico: <<L’aver varcato la Porta dei Leoni aveva comportato penetrare nel mondo
mitico, doloroso e cruento>> di cui Micene ne era metafora. La ricerca frazeriana, afferma Scarpelli, dà adito
all’immaginazione e alla fantasia: Il Ramo d’oro – celeberrima opera del 1890 – narra di crudeli vicende preimperiali
romane presso il bosco di Nemi; in quel luogo vi era una fosca figura armata di spada che custodiva il santuario di Diana,
divinità della caccia; il re del bosco, per difendere la propria carica, doveva difendersi dalla morte. Chi giungeva al tempio
di Diana, poteva sfidare il suo predecessore, al fine di prendere la carica di rex nemorensis. Questa forma di sacrificio
determinava la sopravvivenza della specie, poiché la mitologia narra di una realtà primordiale e
selvaggia, rappresentata da un busto a due fronti ritrovato nel tempio: in un lato vi è un giovane,
dall’altro un uomo anziano (lo sfidante e il sacerdote). Dalle labbra del giovane sporge una foglia di
quercia, simbolo di virilità divina incarnata dal rex. La sconfitta di quest’ultimo si sanciva masticando
le foglie della quercia sacra, strapprando il ramo d’oro, oggetto portatura di luce, quella luce che guidò
Enea nell’Ade.

In Frazer, come anche nel Freud di Totem e tabù, all’origine della cultura vi è il mito: per tale ragione,
egli è definito da Scarpelli come un filosofo del mito. Sarebbe fuori moda oggi una figura intellettuale di questo calibro, specialmente nell’attuale contesto postmoderno in cui viviamo, in cui la cultura e la ricerca sono ormai trasformati in beni di consumo privi di contenuto. La filosofia del mito, presentata nella nuova
pubblicazione di Scarpelli, risulta essere un forte bisogno morale di un’umanità che ha bisogno di una
nuova mitologia che possa dare forma a una nuova eticità, purtroppo messa a repentaglio da
raccapriccianti propagande identitarie fondate su mondi che non esistono più.