Di Teresa Nigro e Leonardo Pastorello

« Lei dice che in Sicilia si muore perché si è soli. Giacché lei fortunatamente è ancora tra noi, chi la protegge?». Giovanni sorride e risponde «Per essere credibili bisogna essere ammazzati. Per ora sono ancora in vita. Questo è il Paese in cui viviamo che se hai una bomba sotto casa, per fortuna non esplode, la colpa è tua che non l’hai fatta esplodere. Guardi che è così». Era il 12 gennaio del 1992, l’ultima intervista del giudice.

Sì, la colpa era la sua perché era ancora in vita. L’attentato non riuscito all’Addaura si diceva fosse stato organizzato proprio da lui, per far carriera. Perché diciamolo, se la mafia vuole eliminarti riesce nel suo intento. Quelle voci erano solo uno dei tanti meccanismi della macchina del fango, messa in azione per screditarlo, per isolarlo. Oggi viene ricordato come un eroe, commemorato come l’uomo giusto ucciso dai mafiosi. Altro che Batman ed eroi immaginari, lui era in carne e ossa e senza mantello.

No, non è sempre stato così. Bisogna ricordare la verità del passato per capire il presente nella speranza di agire diversamente.

Odiato, denigrato, boicottato, dovette fronteggiare una forte ostilità sia da parte di molti giornalisti sia da parte della magistratura: bocciato come consigliere istruttore, come procuratore di Palermo, come candidato al Csm e anche come procuratore nazionale antimafia, se non fosse stato assassinato. Avido di potere e di manie di protagonismo, usava la mafia solo per avere visibilità. Materiale che oggi sarebbe stato usato dagli haters. L’unica arma di Giovanni? Il diritto. Garantire il senso di giustizia armato di diritto.

In queste lunghe settimane in cui la Giustizia ha dato il proprio contributo, non c’è niente da festeggiare. Sarebbe assurdo, per un uomo come Giovanni Falcone, vedere <<com’è misera la vita negli abusi di potere>>. Sarebbe lo stesso per Paolo Borsellino, che anche oggi, se fosse ancora vivo, affermerebbe con amarezza che <<Gli enti locali (manifestazione immediata e visibile del potere Statuale) sono considerati dai partiti politici campi di occupazione per la soddisfazione di interessi particolaristici e non globali>>. (Si veda Oltre il muro dell’omertà. Scritti su verità, giustizia e impegno civile. A cura di G. Bongiovanni, Rizzoli, Milano, 2011, p. 134)

Tuttavia, c’è chi ancora ha una fede, mondana, umana, che si chiama Stato; l’ente di cui tanto si parla, forse, avrebbe bisogno di una nuova identità, di fronte al declino della democrazia rappresentativa e all’eterna ambiguità della nozione di Legalità. Per noi che siamo <<figli del nostro tempo>>, nati con i polmoni già sporcati dal fumo delle bombe della mafia e dello Stato, il più grande interrogativo è: cos’è lo Stato?