Di Antonio Picone

Da qualche decennio, in Sicilia, siamo stati abituati a sentirci dire dal politico, o dal politicante, di turno questa frase: “potremmo vivere di solo turismo e agricoltura”. Bene, questa è solo una banale menzogna!

Infatti, per poter una regione, grande e popolosa come la Sicilia, diventare competitiva e ricca sono necessarie anche, e probabilmente soprattutto, le industrie e le fabbriche.
Solo queste, infatti, riescono a garantire migliaia di posti di lavoro e solo queste creano un indotto che va a beneficio del settore primario, terziario ed, in generale, di tutta la popolazione.
Migliaia di persone che lavorano significano migliaia di salari e di stipendi che costituiscono maggior potere d’acquisto e maggior consumo da parte di aziende, lavoratori e famiglie. Se aumentano i consumatori aumentano i produttori e ne giova anche il settore finanziario, dei trasporti, agricolo e così via fino agli enti pubblici che si ritrovano a gestire maggiori risorse poiché hanno maggiori entrate fiscali.

Queste non sono riflessioni visionarie o utopiche, anzi si tratta di ciò che è accaduto, e accade, nelle regioni del nord Italia ed in tutte le aree industrializzate del mondo. Detto questo, ben venga il potenziamento e il supporto del turismo e dell’agricoltura, ma questi garantiscono lavori per lo più stagionali ed interessano solo alcuni settori. Forse vivere di sole queste attività lavorative può andare bene per le isole Eolie, ma non per un isola con più di 5 milioni di abitanti.

È naturale che per attrarre investitori, e non ci vuole un grande economista o luminare per capirlo, anzitutto bisogna garantirgli una serie di benefici: sburocratizzazione, vantaggi fiscali, severa lotta alla criminalità e soprattutto infrastrutture.
Difatti, chi produce vuol fare arrivare il prima possibile la merce prodotta sui mercati di tutto il mondo. Gli industriali/produttori quindi non tollerano autostrade perennemente interrotte, strade statali grondanti di buche e strade provinciali devastate; in pratica la nostra rete stradale.
Non solo, questi pretendono anche porti marittimi sempre più grandi ed efficienti, ma stando ai dati di assoporti.it, si legge che nel solo porto di Trieste transitano tante merci quanto nei porti di Augusta, Messina-Milazzo e Catania messi assieme. Più preoccupante risulta il dato degli aeroporti: a Palermo, Catania e Trapani transitano tante merci pari al solo aeroporto di Pisa il quale è decimo nella classifica italiana inerente il transito aeroportuale delle merci.
Infine, ovviamente non poteva mancare un accenno, il potenziamento della linea ferroviaria, poiché è inconcepibile, che ci vogliano più di 10 ore per la tratta Trapani – Siracusa, cioè le stesse che servono per la tratta Palermo-Napoli.
Altro elemento che deve essere garantito è l’acqua!
Le industrie ne consumano tanta e in Sicilia ce n’è tanta ma, purtroppo, ci sono troppe dighe incomplete e acquedotti in pessime condizioni e ciò vale a dire milioni di metri cubi dispersi e non raccolti e distribuiti. Se questi si completassero e sanassero a trarne beneficio sarebbero anche tanti comuni siciliani che vergognosamente, ancora nel 2019, subiscono giorni e giorni d’interruzione idrica.

Superfluo risulta ricordare che tutte queste infrastrutture che servono per attrarre le industrie gioverebbero enormemente alle aziende, ai cittadini siciliani ed ai turisti.

Eppure anche in questo caso non torno a dire nulla di onirico e fantasioso, poiché tutto questo è già stato sperimentato, specie dal dopoguerra in poi, con diversi tentativi e con risultati alternanti, alcuni dei quali persino favorevoli e positivi ma di breve durata. Così indagando a ritroso si fanno delle scoperte e ci si pone delle domande, ad esempio:

Che cosa ne è stato di Pasquasia, la miniera di estrazione di sali alcalini misti più grande della Sicilia? Sulla chiusura tante ipotesi e tanto mistero, ma di certo si sa che si sarebbero potuti estrarre ancora milioni di tonnellate di sali potassici e kainite.

Che cosa ne è stato del polo petrolchimico di Gela (Anic)? Dopo la chiusura di diverse linee produttive e la perdita di migliaia di posti di lavoro, l’Eni e la regione Sicilia si erano impegnate, nel 2014, alla riconversione per la produzione di biocarburanti. Ad oggi nulla s’è visto.

Che cosa ne è stato dell’ex stabilimento FIAT di Termini Imerese dopo che è stato dato in gestione a Blutec per la riconversione, coi finanziamenti del ministero dell’Economia tramite Invitalia?
Ad oggi tutto sospeso, con licenziamenti, sequestri e arresti annessi.

E sempre a Termini Imerese che cosa ne è stato della “Chimica del Mediterraneo”?
Un progetto degli anni ’60 che prevedeva un grande polo chimico-industriale che avrebbe prodotto cromati, bicarbonato di sodio e solfati (valorizzando i giacimenti minerari siciliani). Si risolse in un misero fallimento e fu ribattezzato la “comica” del Mediterraneo.

E ancora che cosa ne è stato della Milano del Sud (Catania) prima e dell’Etna Valley poi? Solo le crisi economiche degli anni ’70 e del 2008 hanno fatto tramontare queste realtà?

E così l’indagine porta ad una verità e cioè che tutte queste storie sono accomunate da non solo crisi economica ma anche e soprattutto da: mancate o incomplete riconversioni industriali, mala politica, sperpero di danaro pubblico (prima in miliardi di lire, poi in milioni di euro), assenza e/o complicità dello Stato, mafia, corruzione, infiniti processi, inchieste insabbiate e, diciamolo anche, disinteresse generale della maggior parte dei siciliani che credono ancora alla menzognera storiella, propinataci da decenni, che “potremmo vivere di solo turismo e agricoltura”.