di Ivan Ariosto

A poche settimane dalla selezione dei dodici libri finalisti al “Premio Strega” 2019, è d’obbligo fare un bilancio, o quantomeno interrogarsi, sul livello della letteratura italiana contemporanea e sul peso che questa esercita sulla società.

Un bilancio che, per avere un valore obiettivo, deve necessariamente trascendere da qualsiasi considerazione sulle lotte fratricide e sulle dinamiche di potere che riguardano le case editrici, e che, negli ultimi decenni, hanno reso l’assegnazione del premio di casa Bellonci, più che una cerimonia di celebrazione del libro, una sorta di “notte dei lunghi coltelli”.

Pertanto, in questa piccola indagine, il “Premio Strega” sarà solo uno degli indici per valutare il panorama letterario italiano, l’altro sarà la classifica delle vendite, ovvero la popolarità riscossa da un certo romanzo tra il pubblico dei lettori.

Umberto Eco

Andando indietro nel tempo, tra i vincitori del “Premio Strega” si ritrovano i nomi di alcuni giganti della letteratura italiana: Primo Levi (nel 1979, con “La chiave a stella”), Umberto Eco (nel 1981 con il celebre “Il nome della rosa”), Pietro Citati (nel 1984 con “Tolstoj”), Gesualdo Bufalino (nel 1988, con “Le menzogne della notte”). Più o meno nello stesso periodo, più precisamente nel biennio 1982-83, sul podio dei romanzi più venduti in Italia si trovavano nell’ordine: Primo Levi, Gabriel García Márquez e Alberto Moravia. Al cospetto di questi nomi, il paragone sarebbe difficile da reggere per chiunque, tuttavia la valutazione che ci occupa deve prescindere da istinti nostalgici.

Primo Levi

Passando all’analisi del presente, in cima alla classifica dei libri più venduti degli ultimi anni figurano “La più amata” di Teresa Ciabatti, “Quando tutto inizia” di Fabio Volo e “Avrò cura di te” di Chiara Gamberale e Massimo Gramellini.

Libri accomunati da una trama fondata su normali vicende umane in cui ognuno di noi è incorso almeno una volta nella vita (rapporti familiari difficili, l’innamoramento, un amore che finisce) e mirata a “far compagnia” a quel lettore che si trovi nella stessa fase emotiva dei protagonisti, oltre che da uno stile elementare e mirato ad assecondare sia il lettore occasionale sotto l’ombrellone sia quello affascinato dal mainstream culturale, che tra una puntata di X Factor ed una trasmissione di Radio Deejay, si diletta a sfogliarne le pagine.

Quanto ai vincitori del “Premio Strega” degli ultimi anni, figurano due romanzi che ripercorrono storie di cronaca realmente accadute, ovvero “La ragazza con la Leica” di H. Janeczek (2018) e “La scuola cattolica” di E. Albinati (2016), un discreto romanzo sull’infanzia e sull’amore per l’alpinismo “Le otto montagne” di P. Cognetti (2017), e “La Ferocia” di N. Lagioia (2015), recensito da uno degli utenti della libreria online IBS come «un regalo perfetto per una persona che odiate».

Roberto Cotroneo

Anche questi libri sono uniti da un tratto comune, cioè lo scarsissimo gradimento da parte del pubblico, dato che nessuno di essi (ad eccezione di Cognetti) è riuscito a raggiungere le prime 5 posizioni tra i più venduti.

Appaiono illuminanti, al riguardo, le righe dello scrittore Roberto Cotroneo comparse qualche settimana fa su Repubblica, in cui sostiene che «non sono scritti bene, ma sono scritti come si pensa si debba scrivere: con una patina plastificata che è la stessa che avvolge i nuovi volumi sui banchi delle librerie e che tiene assieme storie che altrimenti sarebbero sgangherate», precisando poi come la colpa di ciò sia da attribuire soprattutto alle cosiddette scuole di scrittura (vedi la Holden di Baricco & co.), oltre che alle case editrici e agli stessi critici letterari, i quali «trasformano autori poco più che esordienti in classici della letteratura con gli onori già in tasca prima di scrivere i nuovi libri».

Il 2019 è iniziato da poco, ma ha già regalato “perle” del calibro de “L’isola dell’abbandono” di Chiara Gamberale e “Fedeltà” di Marco Missiroli, libri perfetti per quarantenni separati un po’ frustrati, con bebè a carico, che sognano di ritrovare l’amore in palestra o su Facebook.

Massimo Gramellini

Ironie a parte, non si può trascurare come il peso, per certi versi risibile, dei romanzi italiani di oggi abbia conseguenze drammatiche sul piano della formazione delle menti e delle coscienze dei lettori, che – non va dimenticato – sono in primis individui e cittadini.

I best sellers del nostro tempo non arricchiscono l’animo né la mente, non spargono il seme del dubbio nel deserto dei pregiudizi di chi legge.

E quando la letteratura interviene nell’attualità per mezzo di personaggi come il buon Gramellini (il cui culto per il perbenismo farebbe inorridire perfino Maria Teresa di Calcutta), divenuto ormai una della prime firme del Corriere della Sera e che ricopre il posto che in passato fu di Pasolini, Calvino e Flaiano (per citarne alcuni), non possono che apparire lontanissime le parole di Ippolito Nievo circa il compito dello scrittore: «io scrivo per dire la verità, e non per dilettare la gente con fantasie prettamente poetiche».