Di Danilo Napoli

“Un affare di famiglia” è un film giapponese vincitore della Palma d’oro a Cannes, il titolo originale dell’opera è “Manbiki Kazoku”. La storia è cucita addosso a un nucleo familiare bizzarro, si scoprirà infatti non essere una famiglia tradizionale o comune, ci dona sguardi complici, discorsi sulla vita, effusioni domestiche, è un inno alla famiglia come nucleo di persone dove trovare rifugio, consolazione.

I componenti sono tutti leggeri abitanti della vita, vivono di espedienti, rubacchiano infatti qua e là per continuare a vivere, tutti ne sono complici e coinvolti in prima persona. Il tempo del film coincide per lo più con il tempo della casa della famiglia, un umile dimora incastonata nella periferia di Tokyo. La famiglia è tale non solo se tradizionale, ma se vive e professa i valori comuni che diamo ad essa. Il film si evolve quando viene ritrovata da Osamu la piccola Yuri, bimba maltrattata dalla famiglia di origine e che troverà affetto e riparo in questa nuova famiglia.

Il regista Hirozaku Kore-eda sembra quindi dare un ruolo centrale alla famiglia sia a livello sociale che sentimentale, è la base delle nostre società, la prima forma di società che viviamo e sembra dirci che non per forza deve essere convenzionale ma vera nei rapporti e nei sentimenti. Kore-eda è forse da considerare un umanista contemporaneo per come si approccia ai temi delle nostre esistenze, di sicuro è un film che fa bene e guardarlo in questo momento storico-politico, che vede insinuazioni su un presunto attacco alla famiglia tradizionale, ci può fare capire che se c’è amore, condivisione e complicità allora si che c’è famiglia, indipendentemente da tutto il resto.