Di Giulio Scarantino
Tutti in cerchio, al centro Giovanna Caruana e alle sue spalle Mario Ferrara con la chitarra, gli spettatori osservano in religioso silenzio l’esibizione del duo: prima la malinconia incisiva dei testi siciliani, poi la malinconia sensuale e attraente del ritmo argentino, attorno le opere di Silvio Benedetto e Silvia Lotti in mostra riecheggiano i loro significati.
“ Per lui disegnare e dipingire è come respirare”, queste sono le parole che accolgono il nostro arrivo alla mostra partecipata del Centro Michele Abbate, mentre Silvia Lotti descrive con intima passione la personalità del maestro Silvio Benedetto. “Ognuno di voi è in pericolo oggi, perché tutto ciò che gli accade intorno può essere ispirazione di una sua opera. Lui è qui che parla con noi ma già sta immaginando un nuovo lavoro artistico. Anche quando dipinge, per lui è una mera esecuzione: una volta concepita l’opera è già tutto concluso. In altre parole l’atto è una fase di riproduzione materiale del pensiero, in quel momento però lui sta già immaginando una nuova opera. Per lui disegnare è come respirare”.
Qualche minuto dopo è lo stesso Silvio Benedetto ad intervenire e dialogare con gli spettatori, che lui definisce amici, in una costante sinergia. Allo stesso modo è proprio la mostra “ L’ incontro con Silvia Lotti e Silvio Benedetto “ strutturata con un format che vede i visitatori non semplici osservatori ma in costante dialogo con gli artisti e l’opera, così come in costante dialogo sono le varie sfaccettature dell’arte: dalla musica di Mario Ferrara, il canto di Giovanna Caruana, la scrittura e i racconti di Silvia Lotti uniti alle sue meravigliose rappresentazioni visive a matita esposti ed infine le maestose opere di Silvio Benedetto. Questa interazione sinergica si è conclusa con la realizzazione di un’estemporanea del maestro seguendo il ritmo e il significato dei brani riprodotti.
Il dialogo e l’incontro delle diversità, dei dialetti dalla grande famiglia dell’arte, restituiscono vita al Centro Michele Abbate che per una volta trova corrispondenza con la sua natura. In altri termini si riscopre in ciò per cui è nato: un nucleo pulsante di cultura. Per questo motivo il primo dialogo che proviamo a raccontare è quello tra favole e disegno di Silvia Lotti, così ci avviciniamo e le chiediamo:
Come descriverebbe l’incontro tra disegno e scrittura che avviene nelle sue opere? Cosa nasce prima?
Questa è una bella domanda, penso che in alcuni casi è nata prima la fiaba. Per esempio, su una scia di giochi di parole come nella favola del riccio e della castagna. Sicuramente sono due linguaggi diversi però legati da una comune finalità che è quella di “ giocare”; o meglio non perdere il senso del gioco.
Nonostante il senso comune che si ha del termine è in realtà un gioco serio, come lo sono quelli dei bambini. Noi “grandi” spesso diamo una chiave di lettura ai giochi dei bambini non corrispondente al vero. Non ci accorgiamo che diverse volte significa per i piccoli sperimentarsi nella vita e in quello che sarà. In questo caso per me il gioco è immaginare delle cose per poterle vedere da altri punti di vista, pormi di fronte a qualcosa e sperimentare come fosse un gioco delle possibilità.
Per questo la fiaba diventa anche un riferimento per i “grandi”, perchè pur trattandosi di un gioco è un gioco serio?
Si, esemplificativo in tal senso è una visione che ho avuto nel caso della “busta di plastica”. Mi ha colpito questo sacchetto per aria nei cieli di Roma che ad un certo punto era attraversato da una luce che lo rendeva quasi brillante, facendomi tornare bambina. Al primo contatto con quella visione mi ha affascinato al punto da immaginare, come un sogno da piccola, che fosse diventato addirittura un aquilone.
Poi invece l’inquietudine di non veder la fine di quel volo, essere andata via senza che avesse toccato terra, mi ha travolto facendomi riflettere su dove potesse andare a posarsi. Solo dopo ho immaginato che questo sacchetto si posasse sull’ acqua e venisse inghiottito da un pesce causandone la morte. La fiaba quindi non è avulsa dalla realtà, ma un linguaggio differente per affrontare anche i temi sociali.
La nostra partecipazione alla mostra continua con l’immensa disponibilità al confronto del maestro Silvio Benedetto. Per un attimo, predisposti i posti a sedere, con la sala ancora in fermento per le esibizioni appena avvenute, dedica a noi la sua completa attenzione. Così parlandoci come fossimo amici di vecchia data crea una parantesi, una piccola postilla all’interno della serata.
Avete esposto le vostre opere in città del calibro di Buenos Aires, Lubecca, Parigi, Roma ma non avete mai trascurato le realtà più piccole, come Caltanissetta …?
No no ascolta non è una realtà piccola. Caltanissetta è stata una città molto importante e lo sarà ancora forse grazie a voi. Non amo la retorica dei “giovani”, non è l’eta che conta sono gli esseri umani e le radici di questa terra che ad essere importanti. Qui c’è stato a suo tempo Il Foglio di Sciascia, un grande fermento artistico con pittori come Salomone, artisti come Carnicelli; c’è stato anche un movimento molto importante nella musica e nella lirica. Non penso che sia sommerso tutto ciò, penso che sia solo attutito dal business mondiale, dalla stupidità di questo secolo superbo e sciocco.
Però non c’è dubbio che una differenza dal punto di vista artistico, attualmente, tra queste città ci sia
Si ma ad ogni modo credo che anche gli artisti siano colpevoli di questo. E’ importante che gli artisti, tutti coloro che si occupano del disagio sociale, della classe operaia, richiamino persone a venir qui, facciano sì che il mondo venga qui. L’artista che alla Biennale espone un’opera importante e qui manda solo una litografia è un traditore. Questo luogo è importante, le amicizie che hai qui sono importanti. Io sono venuto a trovare Giovanna che è una mia cara amica, domani verrò ad incontrare voi ragazzi, conta più il rapporto umano che il ritorno economico e di prestigio, quello è secondario.
A proprosito di amicizie e legami, lei ne ha avute di importanti in Sicilia…
Si sono stato diverse volte in Sicilia e in questa provincia, ho più volte dipinto la settimana santa e la miniera; ho avuto tante amicizie . Sciascia ha scritto su di me, sulla mia opera riguardante Santa Teresa d’Avila del Bernini, sull’ erotismo nella pittura. Uno scritto molto bello, assai importante e raro . Con Ignazio Buttitta abbiamo fatto in tante piazze siciliane “il poeta in piazza”, lui recitava e io dipingevo. Così Ciccio Bussaca, Rosa Balistreri e anche Carlo Levi erano con noi, non era siciliano ma amava molto il meridione. Sono tutte le amicizie che mi legano a questa meravigliosa terra .
Filo conduttore di questa mostra sembra essere il dialogo tra le diversità, l’interazione tra quelli che si potrebbero definire i dialetti della grande famiglia dell’arte, sia all’interno della stessa lingua “pittura” sia tra lingue diverse come la musica, la prosa e il disegno. E’ una definizione appropriata ?
Hai detto uno cosa importantissima, è una domanda che pongo molte volte ai pittori e si trovano spesso disorientati: “se l’arte è un linguaggio, allora la pittura ha dialetti?”. Non è facile rispondere, bisogna valutare cosa si intende per “dialetto” e da quale prospettiva lo si definisce. Ad esempio nel teatro io utilizzo le varie lingue come l’inglese , lo spagnolo, l’italiano oppure anche il mero silenzio, il fonema, insomma qualcosa che possa dare vitalità al dialogo, che possa essere vibrante per chi ascolta. Se tutto ciò fosse adoperato nel senso classico della dizione o del bel dire soltanto sarebbe come una farfalla che invece di volare è spillata per studiarla. Penso che valga lo stesso per la pittura .
E nel dialogo tra le diverse forme dell’arte come musica, prosa, pittura…
L’ideale sarebbe che un gruppo di persone, anche di diverse generazioni, facessero arte, musica, pittura, performance, dialogo del corpo, mimica, percussioni ecc. ma che non sia mai nessuna subordinata all’altra. In altre parole ognuna deve avere la sua personalità e allora è una forza che si unisce, deve essere un ensamblement e stare insieme ognuna con il proprio linguaggio. Insomma non deve essere una musica di fondo, di quelle che senti dal parruchiere. In fondo la complementarità e non sussidiarietà vale per tutto: nell’amore e nella vita.
Infine quale ulteriore sfumatura del “dialogo” abbiamo assistito oggi ad un piccolo esempio di “teatro negli appartamenti”, ove l’interazione questa volta è tra artista e pubblico. Può dirci come nasce il “teatro negli appartementi” e perchè?
E’ nato a Buenos Aries, un pò come protesta alle istituzioni e alla sua cultura omologata che non sempre sono il tempio del sapere o di opere valide. E poi perchè nell’appartamento riesci a guardare le persone negli occhi e loro guardano te, così sentono non soltanto la tua recita ma anche i tuoi occhi e viceversa, anche chi recita percepisce la reazione di chi ha di fronte. Così lo spettatore non è più tale, senza la barriera del palco è insieme con noi, è un tuttuno. Nell ’appartamento non monti una scenografia, è la tua stessa casa ad esserla. Nel luogo dove tu abiti, dove possiedi i ricordi della tua infanzia, dell’immaginazione di bambino quando i tuoi genitori litigavano o non vedevi l’ora che tutti andassero via, tutto diventa possibile. Qualsiasi testo pirandelliano o shekspiriano può prendere vita, come un sogno d’ infanzia che si avvera. E’ un esperimento anche dinamico perchè può essere itinerante, tra le stanze e gli appartamenti. Certo non è sempre facile creare queste condizioni, però per me questo tipo di teatro è più “essere” che “rappresentare”. Non sembrare, ma essere. Forse faremo questo esperimento anche qui a Caltanissetta.
Allora ci rivedremo presto …
Con piacere, ormai siamo amici. Non pubblicare l’intervista se vuoi, l’importante è che ci siamo conosciuti.
La mostra organizzata da STARGEO terminerà con un evento finale il 24 Marzo, anche questa volta con la presenza di Silvia Lotti e Silvio Benedetto per rendere nuovamente l’esperienza autentica.
Foto di Fausto Di Maria
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