Di Tommaso Junior Mancuso

In un precedente articolo ho già parlato dell’offensivo e deprecabile epiteto che noi giovani ci sentiamo affibbiare negli ultimi anni. Lungi dal voler ribadire ancora il concetto, è necessario e giusto, adesso, rivoltare la medaglia. È giusto perché, seppure sia indubbio che la congiuntura economica che sta attraversando il paese, ormai da più di un decennio, non sia colpa nostra e che quindi stiamo pagando lo scotto di errori non nostri, abbiamo il dovere di porci qualche domanda: noi cosa stiamo facendo per cambiare le cose? Cosa possiamo fare noi, per porre rimedio agli errori del passato? Se, invece che rimboccarci le maniche, restiamo inerti, seguendo la deriva verso cui siamo stati indirizzati, lasciando che siano gli altri a mettere le cose a posto, pur essendo capaci di farlo noi stessi, non saremmo anche noi giovani responsabili o quanto meno correi di tutto ciò che sta accadendo in tutta Italia?

Le difficoltà sono molteplici, ma non devono essere un alibi. Il lavoro letteralmente latita, soprattutto nelle regioni del sud, ma questo non deve essere motivo di rassegnazione e di stasi. Chiedere più responsabilità e considerazione, oltre che essere oneroso, può sembrare una mancanza di rispetto nei confronti dei fantomatici “grandi”, dato che sono loro che governano, decidono, possiedono; ma se ci sentiamo capaci, se ci sentiamo superiori, se sentiamo di voler spendere le nostre energie e le nostre doti per le nostre città, per le nostre regioni, per la nostra Italia, non è forse un dovere metterci in gioco e pretendere di ottenere il ruolo che meritiamo in questa società? A suon di fatti e non tramite un foglio di carta che non può essere in grado di enumerare integralmente le nostre capacità ed inclinazioni, che esso sia un diploma di laurea od un curriculum. Anche al costo di scalzare qualche “grande”, se meno meritevole. È importante non solo per il singolo, ma per tutta la categoria dei giovani e per la società tutta, essere in grado di far sentire la nostra voce, di far valere le nostre ragioni e portare le nostre necessità su un tavolo politico. Altrimenti, difficilmente cambierà qualcosa. Altrimenti, difficilmente verremo mai valorizzati.

È chiaro che ogni ragazzo, terminato il proprio percorso di studi, che esso termini con una laurea o con un diploma non importa, spera di trovare un lavoro che sia il più possibile coerente con il predetto percorso personale, con le proprie abilità, con i propri interessi e con una retribuzione congrua. Tale aspirazione è certamente lecita, tuttavia è spesso una chimera al giorno d’oggi. Ma vi sono delle alternative, magari temporanee, ma non solo. Una di queste è il volontariato; esso permette di rendersi utili per la propria comunità in vari modi tramite l’assistenza di categorie di cittadini in difficoltà per ogni sorta di ragione e porta anche un arricchimento della persona che lo pratica, perché è comunque gratificante sentirsi utile, importante, veder sorridere persone che, solitamente, non riescono a farlo. Vi sono, poi, varie forme d’associazionismo; esso, oltre a poter operare nel campo assistenzialistico, permette alle varie categorie riunitesi in un’associazione di avere una forza maggiore nel far sentire le proprie ragioni nei confronti delle istituzioni, di poter protestare con decisione contro decisioni reputate svantaggiose e anche, al contrario, di proporre rimedi ai problemi della comunità di cui si fa parte, innovazioni laddove vi siano dei bisogni, di organizzare eventi di ogni sorta: sportivi, culturali, scientifici. Insomma, non dobbiamo solo pretendere uno aiuto dal nostro paese, dalle nostre città. Dobbiamo anche chiederci cosa possiamo dare noi alle nostre città, cosa possiamo fare noi per porre rimedio alla situazione in cui, volenti o nolenti, ci siamo ritrovati ad arrancare. Il tutto per permettere non solo a noi di fare esperienze che ci arricchiscano, ma anche a chi è più in difficoltà o a chi verrà dopo di noi di trovare un ambiente migliore in cui poter esprimere le proprie abilità, seguire e realizzare le proprie ambizioni senza dover affrontare le immani battaglie che noi troviamo sul nostro cammino.

Per questo esorto ogni ragazzo o ragazza che si senta scoraggiato o pessimista per il periodo che sta attraversando a non demordere, a continuare a lottare per il proprio futuro, ma anche per il proprio presente. Diamoci da fare per ottenere quello di cui abbiamo bisogno, che è anche quello di cui il paese necessita, perché un paese in cui i giovani non lavorano, un paese in cui i migliori ragazzi sono costretti letteralmente a fuggire verso le regioni del nord o addirittura all’estero è un paese senza futuro. E invece noi un futuro dobbiamo darlo a questo paese e dobbiamo farlo costruendo un futuro fatto su misura per noi, che lo vivremo nei decenni a venire, non per coloro che ci hanno portato a questo. Dobbiamo essere stufi di sentirci dire “voi siete il futuro di questo paese” perché, ragazzi, noi dobbiamo essere (e lo siamo già!) il presente! Per permettere, poi, ai nostri figli ed ai nostri nipoti a loro volta di vivere in un paese che sia pronto ad accoglierne le aspirazioni, le idee, le inclinazioni.

Tutto questo, ovviamente, non è facile e qualcuno la considererà anche un’utopia, lo sfogo di un giovane sbarbatello arrogante. Ma perché dovremmo rassegnarci a lasciare le nostre vite future in mano ad individui di dubbia caratura, talvolta culturale, talvolta morale, talvolta sia culturale che morale, quando spesso siamo più qualificati noi che studiamo, ci teniamo aggiornati ed abbiamo idee innovative molto più di loro? Come possiamo pensare che loro abbiano interesse a costruire un futuro che, in realtà, probabilmente neanche vivranno? Dobbiamo essere noi a costruire il nostro futuro perché noi siamo gli unici che abbiano un vero interesse affinchè esso sia il migliore possibile, perché saremo noi a vivere quel futuro! Per cui dobbiamo renderci padroni di questo presente, prendercelo lavorando sodo ogni giorno, riunendoci, associandoci, gridando i nostri bisogni e le nostre richieste e facendole valere. Facile? No. Pur lavorandoci, sarà difficile. Ma se ci deprimiamo e commiseriamo su un divano, davanti una tv che ci propina schifezze colossali, senza arrabbiarci quando i governanti minano le nostre possibilità, senza star lì a mordere le loro caviglie affinchè ci ascoltino…beh, allora sarà impossibile. Quindi, che vogliamo fare?