Di Alessio Amorelli

Tra le tante pirotecniche abolizioni proclamate dal governo del cambiamento c’è sicuramente l’abolizione della precarietà. Il fenomeno che ha portato divisione, insicurezza e esasperazione nel mercato del lavoro italiano sarebbe stato debellato grazie all’ormai famoso decreto dignità. Il primo significativo provvedimento marcato 5 Stelle ha un ambito di applicazione molto esteso: mira a disincentivare il gioco di azzardo, opera una serie di semplificazioni fiscali e, per non farsi mancare niente, cerca anche di incentivare le assunzioni stabili dei lavoratori dipendenti.

Il Jobs Act aveva liberalizzato le assunzioni a tempo determinato. La libertà di assumere dipendenti a termine ha provocato un mutamento del mercato del lavoro – in Italia da sempre legato al mito del posto fisso – con una conseguente crescita esponenziale della precarietà in Italia, alla quale però si è accompagnato un sensibile aumento dell’occupazione. Per contrastare l’incertezza dilagante nelle fasce più deboli della popolazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Di Maio ha deciso di limitare, e di molto, la possibilità di utilizzare contratti di lavoro a tempo determinato in Italia, con la speranza di creare più occupazione stabile. La durata massima del rapporto occasionale è stata ridotta dai 36 mesi originari a 24 mesi. Inoltre, per i rapporti che eccedono i 12 mesi è stata reintrodotta la necessità di specificare le ragioni di carattere organizzativo, produttivo o sostitutivo alla base dell’assunzione.

Azzerare la precarietà con un decreto legge varato in fretta e furia è impossibile, a meno di replicare qualche legge vigente ai tempi dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. I dati recentemente diffusi dall’osservatorio sul precariato dell’INPS, però, ci dicono che la direzione intrapresa sembra essere quella indicata dal governo del cambiamento. Lo scorso anno si è registrato un significativo incremento delle trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato che passano da 299 mila nel 2017 a 527 mila nel 2018. Bisogna dire che il trend di crescita si registrava anche prima dell’entrata in vigore del decreto dignità. Da novembre 2018, però, i ritmi di crescita viaggiano oltre il 100%. Nello stesso periodo le norme del decreto dignità sono diventate pienamente operative. Sono soltanto due mesi, ma sono comunque troppi per parlare di coincidenze. Le restrizioni introdotte nel mercato del lavoro stanno aiutando i precari ad ottenere occupazione stabile, questo è un fatto.

Il Ministro del lavoro ha accolto con soddisfazione questi dati e si è giustamente intestato i meriti di questa operazione. La replica dell’opposizione è stata affidata alla renziana di ferro Maria Elena Boschi che utilizza i dati forniti dall’Istat per dare del bugiardo a Di Maio. L’Istat ha infatti certificato che da maggio 2018, data di insediamento del governo gialloverde, a oggi gli occupati sono diminuiti di 72 mila unità, quelli a tempo indeterminato addirittura di 122 mila unità. I dati elencati dall’opposizione sono formalmente corretti ma sono inconferenti rispetto all’analisi svolta dall’osservatorio sul precariato dell’Inps. Il botta e risposta tra il capo politico del Movimento 5 Stelle e la Boschi dimostra plasticamente come la classe politica continui a strumentalizzare ogni sorta di dato a fini elettorali senza approfondire il merito delle questioni.

I dati dell’Inps analizzano i flussi e le tendenze che si registrano nel mondo del lavoro in Italia. Sono dati dinamici che analizzano singoli aspetti del mercato del lavoro senza tenere in considerazione il quadro generale. Ad esempio, i flussi relativi alle assunzioni non tengono conto del fatto che uno stesso soggetto può cambiare più datori di lavoro nel corso di un anno. A contrario, i dati Inps sulle cessazioni non rivelano se il lavoratore è rimasto disoccupato a lungo o ha trovato immediatamente lavoro dopo il licenziamento, le dimissioni o il raggiungimento dell’età pensionabile. Di Maio ha strumentalizzato i dati a lui più favorevoli omettendo consapevolmente di fornire il quadro generale dell’occupazione in Italia. Una specie di quesito su Rousseau, insomma.

Al contrario, i dati dell’ISTAT fotografano la situazione dell’occupazione in un dato momento. Come tutte le fotografie si cristallizza un preciso momento storico senza evidenziare le dinamiche che hanno portato la storia ad essere più o meno fotogenica. È ben possibile che dalla fotografia risultino numeri diversi rispetto al flusso che analizza soltanto un aspetto specifico del mercato del lavoro. La replica della Boschi, in questo senso, non smentisce il successo decantato da Di Maio che non è certo un bugiardo a causa del fatto che gli occupati diminuiscono. Il Ministro del Lavoro, al massimo, può essere tacciato di reticenza. Infatti, restringendo l’utilizzo dei contratti a termine è naturale registrare un aumento dei contratti stabili. Bisogna però comprendere se l’aumento di contratti stabili compensa integralmente la diminuzione di contratti precari. Ma questo il vicepremier non lo dice, mentre i dati pubblicati dall’esponente PD affermano che complessivamente ci sono meno persone che lavorano. Inoltre, è giusto riconoscere come la salute del mercato del lavoro sia solitamente misurata attraverso le fotografie dell’Istat piuttosto che con i flussi registrati dall’INPS che, come detto, sono più limitati e analizzano soltanto una parte delle dinamiche interne ai processi di domanda e di offerta di lavoro. Rimane il fatto che se qualcuno ti fa notare che la forza lavoro è più stabile rispetto a prima, la critica da sinistra non può esaurirsi in un elogio della precarietà come strumento per aumentare l’occupazione. Ma ci siamo abituati anche a questo, purtroppo.

In un periodo di recessione, l’aumento dell’occupazione stabile prodotto dal decreto dignità è sicuramente un evento positivo per l’economia italiana. Più sicurezza genera maggiori consumi interni a beneficio del prodotto interno lordo. Bisogna però avere il coraggio di ammettere che poche persone occupate e felici non sono in grado di sostenere un paese con tassi di disoccupazione preoccupanti come il nostro. La mancanza di fiducia nell’Italia e soprattutto la timidezza del governo nel sostenere gli investimenti potrebbe presto portare ad un ulteriore calo dell’occupazione, stabile o precaria che sia. Le regole del mercato del lavoro possono garantire o togliere diritti, non creano da sole nuove assunzioni. Il lavoro si crea con politiche economiche espansive che guardano agli investimenti, pubblici e privati, in grado di allargare la base di lavoratori in Italia. Il decreto dignità si preoccupa dei diritti ma rischia di garantirli ad una quota di persone sempre minore a causa delle politiche miopi di questo governo.

Dai dati disponibili non si riesce a comprendere con precisione quanti lavoratori a termine abbiano perso il lavoro a causa delle restrizioni introdotte dal decreto dignità. Quello che inizia ad emergere, invece, sono le minori possibilità di trovare un lavoro per i disoccupati. Con questi indizi, vendere il reddito di cittadinanza come una politica attiva del lavoro è quasi una pubblicità ingannevole. È urgente riportare il Paese a crescere, altrimenti corriamo il rischio di vivere in uno Stato che garantisce diritti soltanto sulla carta. Se non c’è il lavoro, i lavoratori non possono far valere i loro diritti, non è difficile.

In una fase di contrazione come quella che stiamo vivendo, il decreto dignità potrebbe essere annullato da un’altra misura varata dal governo del cambiamento. La flat tax ha ridotto significativamente la tassazione sulle piccole partite IVA. Se l’Italia non esce dalla recessione i datori di lavoro in difficoltà potrebbero decidere di risparmiare preferendo l’assunzione di una falsa partita IVA piuttosto che pagare tutti gli oneri connessi al rapporto di lavoro dipendente. Tutte le tutele inserite nel decreto dignità potrebbero essere vanificate a causa delle difficoltà economiche delle imprese italiane. Per garantire i diritti ai lavoratori non basta esplicitarli in una legge. Bisogna creare le condizioni economiche perché ciò avvenga. Altrimenti si corre il rischio di decantare un mondo fantastico sulla carta senza migliorare la vita concreta delle persone. Anzi.