Di Lara Aliffi
C’era una volta…o forse no! È ancora giusto utilizzare nel nostro mondo moderno questa formula di un infantile passato fiabesco? Cambiamo incipit:
Un giorno, in un grigio mattino d’inverno, nacque Giacomino con un urlo così forte da convincere le infermiere a tapparsi le orecchie. Che carattere quel Giacomino! Sin da piccolo la sua forza stava nella sua parola, nel suo urlo, nel suo irruente e vero modo di comunicare. Giacomino crebbe sano e forte e, grazie ai buoni consigli dei suoi genitori, al suo senso di giustizia e al suo fiuto per le notizie, divenne un ottimo giornalista. Giacomino scriveva articoli su articoli, denunciando i piccoli crimini che lasciavano la sua città debole e spoglia di fronte ai mali e alla violenza. Amava lottare con la sua fedele penna per la difesa della sua vicina di casa, molestata da un vile amante che la prendeva a botte ogni notte, per l’anziano proprietario del tabacchino all’angolo della sua via e che riceveva ogni sera la visita di uomini “per bene”, così per bene da sbattere la testa contro il bancone per farsi dare la loro parte dell’incasso giornaliero. Amava lottare per i bambini del catechismo che durante le confessioni, a tu per tu col cristiano prete, non capivano se le sue attenzioni fossero amore malato o solo paterno affetto. Giacomino si rendeva conto che nelle viscere della sua città, nelle fognature, dentro ai tubi di scarico, scorreva una linfa maligna che rendeva le persone capaci di qualunque crimine; cercava di capirne l’origine e pensava che dire la verità con i suoi articoli servisse da monito, d’ammaestramento, fosse utile per evitare che ciò che accadeva quel giorno e quella notte non si ripetesse l’indomani; ma puntualmente il giorno successivo spuntava fuori un’altra vittima innocente. Giacomino non riusciva più a gestire quel bruciante desiderio nella sua anima che lo portava a urlare: basta! come aveva fatto al momento della sua nascita.
Così comunicò, tramite un annuncio sostitutivo del suo solito articolo, a tutti i cittadini di recarsi alla palestra comunale del paese. Lui arrivò all’appuntamento un po’ prima e, scoccata l’ora in cui tutti erano stati convocati, Giacomino vide le porte aprirsi e la palestra riempirsi di bambini del catechismo, di donne maltrattate, di uomini costretti a pagare il pizzo, di preti degni di essere chiamati tali, di bravi poliziotti e altra gente per bene e a quel punto cominciò a parlare, a far uscire l’urlo disperato dentro di sé attraverso parole di speranza e cambiamento, cercando nella coalizione, nell’aiuto reciproco, nella solidarietà di una comunità vittima, il coraggio di opporsi alla linfa maligna, il coraggio di lottare per estirparla e il sogno di un posto migliore in cui iniziare a vivere davvero. Dal giorno del discorso di Giacomino, cominciò un vero e proprio spurgo di quelle fognatura, i mali vennero lavati pian piano con la correttezza e la semplicità che i bravi uomini del popolo possiedono. Al primo urlo della sua vicina di casa, l’intero palazzo si mobilitava armato di padelle per scacciare il crudele carnefice; alla prima testata sul bancone del povero tabaccaio i poliziotti in giro per delle continue ronde intervenivano sbattendo in cella i colpevoli e i bambini del catechismo, inizialmente confusi e timorosi, ebbero il coraggio di confessarsi davanti al tribunale che gettò il prete in un’infernale prigione. Pian piano dopo giorni, mesi ed anni, la città giunse a profumare come non mai ed i cittadini, insieme a Giacomino, cominciarono ad attingere ad una nuova e pura linfa fatta di giustizia, libertà e rispetto reciproco.
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