Di Alessio Amorelli
Non è passato molto tempo da quando la salma del giovane giornalista Antonio Megalizzi faceva rientro in Italia. Lo Stato in quella occasione era rappresentato dal Presidente della Repubblica e dal Ministro dei rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, che – chissà quanto consapevolmente – ha evitato di accogliere la salma sulla pista di atterraggio, dove erano presenti soltanto la famiglia di Antonio e Sergio Mattarella. È appena rientrato in Italia Cesare Battisti, terrorista appartenente ai Proletari Armati per il Comunismo, che durante gli anni di piombo ha commesso 4 omicidi, 2 dei quali accertati secondo la legislazione speciale vigente all’epoca per combattere il terrorismo eversivo.
La storia di Battisti è piena di colpi di scena: evade dal carcere di Frosinone nel 1981 e trova rifugio in Francia dove – grazie alla cd. “dottrina Mitterand” – riesce a soggiornare per molto tempo diventando anche scrittore di romanzi noir. Secondo la dottrina Mitterand “la Francia valuterà la possibilità di non estradare cittadini di un Paese democratico autori di crimini inaccettabili”, nel caso di richieste avanzate da Paesi “il cui sistema giudiziario non corrisponda all’idea che Parigi ha delle libertà”. Grazie al clima di quegli anni, insomma, il terrorista italiano è riuscito a bivaccare in Francia sino al 2004, quando fu costretto a riparare in Brasile. Durante tutti questi anni, lo Stato italiano ha sempre invocato l’estradizione di Battisti per assicurarlo alle patrie galere. Qualsiasi governo di qualsiasi colore si è speso per ottenere il rientro del terrorista rosso.
L’analisi storica degli anni che vanno dal 1969 al 1980, noti anche come anni di piombo, ha portato diversi studiosi e intellettuali a interrogarsi sulla possibilità di concedere l’amnistia ai terroristi (rossi, neri, gialli, a pois) che hanno compiuto crimini in quegli anni. Si è parlato di uno Stato forte che dovrebbe ricucire le cicatrici profonde lasciate aperte dal passato. Si è valorizzato il fervore ideologico che infiammava il mondo e l’Italia in quegli anni. Si è ragionato sulla funzione della pena che dovrebbe essere sempre mirata a rieducare il criminale e non solo a punirlo. Tutte osservazioni condivisibili o meno (personalmente sono a favore della linea del rigore contro gli autori di crimini così efferati) ma che stanno dentro ai dibattiti giuridici di diritto penale da almeno mezzo secolo.
L’Italia di oggi ha deciso di rimuovere tutto. Ad accogliere Cesare Battisti all’aeroporto di Ciampino a Roma c’erano il Vice Presidente del Consiglio, Ministro dell’Interno e dei bacioni Matteo Salvini oltre al Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Dirette Facebook, conferenze stampa e sorriso smagliante. In aeroporto (questa volta) si potevano raccattare un sacco di voti, meglio non farsi scappare l’occasione. I più alti vertici dello Stato godono nell’aizzare il popolo con la parola ergastolo. Ogni individuo che ricorda gli anni di piombo, che prova a ripercorrere quel periodo e il dibattito che ne è scaturito, viene identificato come traditore della patria da chi si puliva il deretano con il tricolore.
L’impossibilità di dialogare, di dissentire, di confrontarsi senza essere additato di gravi crimini – quale è certamente il tradimento della patria – rappresenta in maniera plastica la sconfitta della sinistra italiana. Ogni pretesa di inclusione del diverso, di progresso civile, di ricostruzione di una comunità lacerata viene cancellata dal pensiero unico dell’italiano medio che è diventato giusto per statistica: la giustizia è quello che pensa la maggioranza della popolazione, non è quello che prevede la Costituzione, declina la legge e interpretano i giudici. La sinistra italiana si è autocondannata all’irrilevanza quando ha smesso di rappresentare orgogliosamente le comunità migliori di questo Paese per partecipare a questa perpetua rincorsa dell’uomo medio. Come diceva Winston Curchill: il migliore argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l’elettore medio. E cosi è stato.
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