di Ivan Ariosto
Il 1° gennaio 1919, esattamente un secolo fa, nasceva Jerome David Salinger, uno degli scrittori più celebri del Novecento, soprattutto in quanto autore del romanzo di formazione per eccellenza “Il giovane Holden” (il cui titolo originale, tuttavia, è “The Catcher in the Rye”), edito nel 1951. Dopo aver venduto oltre 70 milioni di copie grazie al suo capolavoro, Salinger maturò una forte avversione per la ribalta letteraria ottenuta, smise del tutto di pubblicare nuove opere a partire dal 1965, finendo per ritirarsi a vita privata fino alla sua morte giunta all’età di 91 anni nel gennaio 2010. «Il contatto con il pubblico ostacola il mio lavoro», affermò in una delle sue rarissime interviste, datata 1953.
Una brusca clausura, ancora oggi inspiegabile per la maggior parte dei critici letterari, che ebbe come effetto quello di far prevalere – fenomeno affatto raro nel mondo della scrittura – il successo dell’opera su quello dell’autore. Secondo alcuni, le ragioni della sua scelta di vivere da eremita derivarono dalla consapevolezza dell’incapacità di riuscire a replicare nuove opere di pregio pari all’Holden, da qui la decisione di continuare a scrivere privatamente, senza pubblicare. «Mio padre odiava i compleanni, le vacanze e quasi tutte le celebrazioni pianificate o culturalmente obbligate, e certamente odierà questo centenario», ha dichiarato recentemente il figlio, l’attore statunitense Matt Salinger, rimarcando che l’isolamento fu, di contro, una precisa scelta del padre legata alla sua personalità e non alla fobia del successo.
Una clausura che lo portò a chiedere espressamente al suo editore di pubblicare i suoi romanzi con delle copertine bianche, senza alcuna figura, senza possibilità di identificare i suoi personaggi con un’immagine diversa da quella da lui stesso ideata. Il silenzio su di lui serbato dalla sorella Doris e dall’amico fraterno S.J. Perelman ha contribuito, inoltre, alla diffusione di alcuni aneddoti – che si collocano a metà strada tra realtà e leggenda – sul suo tenore di vita, sui suoi amori, le sue ossessioni ed idiosincrasie: tra questi, una parente della moglie Claire racconta come i due coniugi vivessero in una specie di capanna, senza acqua corrente e che la stessa Claire andasse in giro a raccoglierla tenendo un secchio sulla testa, al pari delle donne africane.
Ad un secolo dalla nascita di Salinger, il successo de “Il giovane Holden” non è stato eroso dal tempo, il susseguirsi delle generazioni non ha intaccato la sua forza ribelle. Resta, ancora oggi, un libro manifesto della giovinezza, che ci mostra come essere adolescenti significhi vivere animati dal furore tipico di quell’età, superare la paura di fare delle scelte, combattere costantemente contro il timore di essere inadeguati dinanzi alle aspettative degli altri. Ma “The Catcher in the Rye” è soprattutto un romanzo sui rapporti tra adolescenti e adulti, sulla assenza di dialogo e di ascolto reciproco, sulla solitudine dell’infanzia. Un romanzo d’iniziazione che mette in crisi tutta una serie di valori della società americana degli inizi degli anni ’50, e che mostra come – nonostante i mutamenti sociali, il progresso tecnologico, l’evoluzione dei costumi e la globalizzazione – le ansie, i sentimenti, le paure e le pulsioni giovanili abbiano dei tratti di universalità.
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