Di Annarita Giglia
Quando si parla di sana e corretta alimentazione molto probabilmente l’argomento successivo sarà quello della dieta Mediterranea. L’accostamento sembra quasi automatico. Bisogna però fare chiarezza perché spesso dire di star seguendo un regime alimentare basato sulla dieta Mediterranea non rispecchia esattamente la realtà.
Nel corso degli ultimi 50 anni infatti si è assistito ad un cambiamento delle materie prime con cui si producono gli alimenti che imbandiscono quotidianamente le nostre tavole ma anche ad un cambiamento dello stile di vita che ha portato inevitabilmente a rivedere qualità e quantità di quegli alimenti che caratterizzano la dieta Mediterranea a cui ancora nessun’altra dieta ha potuto togliere il primo posto.
La principale differenza è quella legata ai cereali. Questi rappresentano uno degli alimenti simbolo della dieta Mediterranea.
A partire dal 4000 a.C. l’uomo aveva già iniziato a coltivare, attività che lo ha accompagnato nel corso dei secoli fino ad oggi. I cereali che utilizzava però non erano rappresentati dalle farine raffinate ma da cereali e chicchi che conservavano buona parte della fibra alimentare naturalmente presente nell’alimento iniziale. L’alimentazione “normalmente” seguita dai nostri avi si basava quindi su prodotti integrali. Riflettendoci, la riscoperta dei “Grani Antichi” di cui oggi tanto si parla ma che purtroppo rappresenta ancora un prodotto di nicchia, veniva quotidianamente consumato dai nostri predecessori.
Altro aspetto da considerare è il cambiamento che la pianta ha avuto nel corso dei secoli attraverso l’avvento delle biotecnologie che hanno come obiettivo quello di aumentare la resa delle coltivazioni: il primordiale chicco di grano infatti era più piccolo, con una quantità inferiore di nutrienti (vedi quelli che poi andranno a formare il glutine durante la preparazione di pane e pasta) e con un involucro più spesso e resistente alla rottura rispetto a quello odierno.
Sulla base di quanto detto prima sarebbe bene soffermarsi sul concetto di “naturale” da non considerare come sinonimo di “biologico”, quanto di prodotto “semplice” in termini di processamento e di lavorazione.
In un suo Paper l’American Diabetes Association, una delle Associazioni no-profit più conosciute negli Stati Uniti in ambito di ricerca, educazione e gestione del diabete, ha definito ad “elevato contenuto di carboidrati (CHO)”, una dieta che prevede più del 45% di CHO, la stessa percentuale che i LARN (i Livelli di Assunzione di Riferimento per l’alimentazione e la Nutrizione) consigliano per soddisfare i fabbisogni energetici della popolazione italiana. Qualora questo 45% fosse costituito da cibi quali pasta, pane e pizza che hanno come materia di base solo farine bianche e fossero preparati con condimenti elaborati, gli effetti della dieta Mediterranea non saranno quelli aspettati.
Oltre ai cereali, ad avere subito un cambiamento è stato l’utilizzo dei grassi e dei legumi. In passato il grasso principalmente utilizzato era l’olio extra vergine d’oliva; solo in poche occasioni la quota di grassi proveniva dalle carni (il cui consumo più frequente era limitato solo alla classe nobile); il resto proveniva da latte, formaggi, uova ma soprattutto dagli alimenti cosiddetti “poveri”, i legumi e il pesce azzurro che, per le preziose sostanze nutrizionali che possiedono, oggi sarebbero da definire “ricchi”.
Che cosa ha reso la dieta mediterranea, il gold standard del mondo alimentare?
• Il “potere saziante” grazie alle fibre contenuti nei cereali integrali e nei legumi, oltre che nella frutta e nella verdura;
• Il “potere protettivo” per le cellule del nostro organismo grazie all’azione di specifiche sostanze e grassi presenti nell’olio d’oliva e nel pesce.
Purtroppo però la qualità e la frequenza di assunzione degli alimenti non corrispondono a quelli che dovrebbero garantire gli effetti visti sopra. A dirlo “L’indagine nazionale sui consumi alimentari in Italia: INRAN-SCAI 2005-06” secondo i quali:
• Il consumo di carni rosse è stato di circa 700 g a settimana, contro i circa 400-450 g raccomandati;
• Tra i “Cereali e prodotti da forno” le categorie di alimenti maggiormente consumate sono state quelle del “pane di frumento” e “pasta di semola” (entrambi preparati a partire da farine raffinate) consumati dall’ 87% e dal 90% dei soggetti che hanno partecipato allo studio.
• Il consumo medio di frutta e verdura è risultato una quantità appena sopra il minimo raccomandato (418 g/giorno contro 400g/giorno);
• Il pesce è stato consumato una sola volta (nei tre giorni di studio) e non dal totale 70% dei soggetti.
• I Legumi se anche siano stati consumati almeno una volta, ha riguardato solo ⅓ dei soggetti in studio.
Alla luce di questi dati si comprende come il modo con cui ci alimentiamo è mutato in maniera non indifferente nelle ultime due generazioni, ragione per cui la Dieta Mediterranea andrebbe rivista se non le si vuole far perdere il valore che l’ha caratterizzata da anni.
Data una risposta alla domanda iniziale, ci sarebbe la successiva a cui rispondere:
“Siamo sicuri che attività fisica oggi come dire attività fisica ?” (prossimamente su questo blog).
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