Di Teresa Nigro
È passata qualche settimana dal 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Se si prendono in considerazione la festa della donna e la festa della mamma, sono 3 i giorni in cui il gentil sesso viene celebrato e commemorato. Del resto sono anche tanti rispetto a una sola giornata per gli uomini, la festa del papà. Di che vi lamentate dolci donzelle? C’è pure un’attenzione social pazzesca in queste giornate: tantissime iniziative, tantissimi slogan che urlano “sempre dalla parte delle donne”. È tanto essere 2/3 volte l’anno “sempre dalla parte delle donne” . Per i restanti 362 giorni, vedete un po’ voi.
Sì, avete capito bene, vedete un po’ voi! Perché la violenza non è solo quella fisica che miete vittime, è anche quella psicologica. Le donne devono vedersela costantemente con una silenziosa e sottile violenza conosciuta da tutti. Si intravede nella sala d’attesa di un medico, quando nella parete viene affisso un cartello con su scritto “la gravidanza non è una malattia”, in farmacia quando si chiede la pillola del giorno e lì lavora un “obiettore di coscienza”, al consultorio quando diffondono opuscoli intitolati “non uccidermi, sono tuo figlio”.
“Sempre dalla parte delle donne”, ma dentro certi limiti. L’aborto non è più un reato da 40 anni, grazie alle legge 194 del 1978 che regola l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg). È una legge nazionale continuamente messa in discussione sia dai difensori della vita senza se e senza ma, sia da alcune concessioni contenute nel testo, che permettono ai comuni di prendere iniziative al fine di mettere in dubbio l’accesso libero al servizio di Ivg. La violenza psicologica silenziosa è soltanto la punta di un iceberg: una donna che ha deciso di abortire inizia un percorso obbligatorio nel dolore e nella vergogna perché la sua decisione deve essere sofferta, deve espiare la colpa di aver rifiutato il suo “dono” e il suo ruolo.
Quindi, mia cara, hai visto tutti i depliant con foto di feti dopo un aborto, gentilmente concessi da provita, e non hai cambiato idea? Ok, inizia il tuo calvario. In Italia due ginecologi su tre sono obiettori di coscienza, per motivi di religione ma anche di carriera. In Sicilia l’86,1 % dei ginecologi si dichiara obiettore di coscienza, molte per far valere il proprio diritto di scelta si affidano al passaparola per trovare la struttura dove viene praticata Ivg, alcune vanno in altre regioni. In tutto questo c’è da tenere presente le tempistiche, perché la legge prevede che l’aborto è consentito nei primi 90 giorni di gestazione. È una lotta contro il tempo e contro chi vuole decidere sul corpo della donna, perché l’alternativa quale sarebbe? Obbligarla a una gravidanza e partorire. Obbligarla. Oppure intraprendere la pericolosissima strada della clandestinità.
I luoghi che impediscono alle donne l’autodeterminazione sessuale e riproduttiva sono stati mappati da un progetto web nazionale “Obiezione Respinta”, in collaborazione con la rete femminista Non una di Meno. È una cartina virtuale che raccoglie le segnalazioni effettuate dalle varie utenti in assoluto anonimato, all’interno si trovano le informazioni sul tipo di servizio (farmacie, consultori, ospedali) e vengono indicati i luoghi dove è esercitata o meno l’obiezione di coscienza.
Il dolore, la vergogna, il senso di colpa, la paura: quando si parla di aborto lo scenario diventa tetro e pieno di pregiudizi, un mancato riconoscimento della libertà di scelta è una violenza. Inoltre si generalizza su ciò che tutte le donne devono provare, questo per renderlo un po’ più socialmente accettabile, insomma “con un poco di zucchero la pillola va giù”. È innegabile che spesso l’aborto è praticato dopo stupri o per problemi economici, ma esistono una varietà di casi, di situazioni che generalizzarle provocherebbe un ulteriore stigma. Non c’è spazio per altri stati d’animo, perché affermare che, per qualcuna, potrebbe essere una liberazione è un sacrilegio. La gravidanza è una scelta, come lo è abortire. È questo il punto, non deve esserci alcuna imposizione, alcun ostacolo, alcun senso generale di vergogna; non è essere d’accordo o contrari, è la libertà di poter scegliere che deve essere tutelata, sempre. Se per molti ginecologi si tratta di pratiche aberranti contro la vita, forse avrebbero dovuto fare gli ortopedici.
“… è una lotta e se vinco comincio ad appartenere a me stessa, non più allo Stato, a una famiglia, a un bambino che non voglio”
Nel 1971, Simone de Beauvoir insieme ad altre donne, firmarono il manifesto delle 343 puttane quando in Francia l’aborto era illegale; si dovrebbe rileggere tutte le volte che qualcuno mette in discussione la libertà di scelta su un corpo che non è il proprio.
“Je ferai un efant si j’en ai envie” (Farò un figlio se voglio).
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