Di Leonardo Pastorello
Il 27 febbraio 2017 muore nella clinica svizzera Dignitas di Forck per suicidio assistito il milanese Fabiano Antoniani – meglio conosciuto come ”Dj Fabo” -, accompagnato da Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni ed europarlamentare del partito politico de I Radicali. Com’è noto, Cappato rischia una condanna di 12 anni di carcere per l’accusa di aiuto e istigazione al suicidio. Questa azione ha contribuito ad alimentare il dibattito sul fine vita: ci si chiede ancora oggi se valga la pena dover affrontare il dolore irreversibile anziché legittimare l’eutanasia. L’opinione pubblica italiana è divisa su questo tema: i partiti cattolici di centro-destra si dichiarano contrari in quanto sostenitori della sacralità della vita; la sinistra radicale si mostra favorevole a un allineamento dell’Italia alle legislazioni europee.
Da sottolineare è la concomitanza della legislazione sul biotestamento con la prima udienza del processo di Marco Cappato. Evidentemente, l’accordo su tale legge è stato più semplice da attualizzare: le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat), approvate il 17 febbraio 2017, prevedono che le disposizioni del paziente – maggiorenne e capace di intendere e di volere – sul fine vita vengano approvate da un notaio o da un medico. Le volontà del malato sono sempre revocabili ed ognuno può rifiutare dei trattamenti sanitari, quali la nutrizione e l’idratazione artificiali. La legge in questione è ”storica”, poiché infrange il tabù culturale del suicidio che in questi ultimi decenni ha rappresentato un tema spinoso ai dibattiti sul tema. I Deputati cattolici Paola Binetti e Rocco Buttiglione (Udc), Raffaele Calabrò (Ap), Benedetto Fucci (Cor), Gianluca Gigli (Des-Cd), Cosimo Latronico (Cor), Domenico Menorello (Civici e Innovatori), Alessandro Pagano (Lega Nord), Antonio Palmieri (FI), Eugenia Roccella (Idea) e Francesco Paolo Sisto (FI) si sono opposti duramente affermando che l’eutanasia entra nel nostro mondo giuridico nel modo più barbaro, in quanto ”morte per fame e sete”. 1 Ma nel processo di Marco Cappato – tenutosi nel mese di febbraio di quest’anno – è stata accolta l’eccezione di illegittimità costituzionale relativa all’art. 580 del codice penale (in questa norma del 1930 è vietata non solo l’istigazione, ma anche l’agevolazione al suicidio), chiesta dai pm in subordine: <<Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni>>. In altri termini, Cappato avrebbe rafforzato il proposito di Antoniani, prospettandogli la possibilità di rivolgersi all’associazione svizzera Dignitas.
La sacralità della vita è tutelata dalla norma anche contro la volontà del titolare: si avrà istigazione o agevolazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima realizzi il suo proposito anche di mano propria. Tuttavia, secondo la Corte d’assise di Milano, la parte della norma che punisce l’agevolazione al suicidio è costituzionalmente illegittima: all’individuo va “riconosciuta la libertà” di decidere “come e quando morire” alla stregua dei principi costituzionali. Va esclusa, dunque, la responsabilità penale dell’imputato per ciò che riguarda l’aiuto morale: l’istruttoria avrebbe ampiamente dimostrato che Cappato fosse entrato in contatto con Antoniani quando quest’ultimo era già a conoscenza delle attività svolte da Dignitas. L’ultima decisione spetta alla Consulta: nel caso di Antoniani, la malattia era tale da comportare atroci sofferenze, le quali però lasciano intatte le facoltà intellettive del paziente; tale circostanza è senza ombra di dubbio fondamentale in merito all’accertamento del consenso – o dell’autodeterminazione – del paziente circa il proprio decesso. Sarebbe lecito chiedersi cosa succederà se la Consulta stabilirà l’illegittimità dell’articolo 580 del codice penale dal punto di vista costituzionale. Consentire a un cittadino di porre fine alla propria vita vissuta in condizioni ormai insopportabili non costituirebbe più reato. Tuttavia, la politica continua a non mobilitarsi in maniera forte e decisa su queste importanti questioni.
L’articolo 13 della Costituzione italiana afferma che <<la libertà personale è inviolabile>>, ciascun cittadino dev’essere libero di non subire interventi altrui sul proprio corpo. Inoltre, l’articolo 32 sottolinea la mancata obbligazione ad un determinato trattamento sanitario, a condizione che non vi sia una disposizione giudiziaria. Dunque, la legge non può violare i limiti imposti rispetto alla persona. Sappiamo che gli sviluppi della medicina hanno comportato un importante cambiamento del rapporto medico-paziente. Nell’etica dei nostri giorni, il medico deve tutelare l’autonomia della persona e non è casuale il fatto che i problemi sull’autodeterminazione del paziente sono stati affrontati anche in ambito internazionale. Com’è noto, l’articolo 5 della Convenzione di Oviedo del 1997 afferma che qualsiasi intervento sanitario può essere effettuato solo nel caso in cui il paziente abbia dato il proprio consenso informato. Tuttavia, il protocollo della Convenzione non è stato ancora depositato in Italia e ciò limita notevolmente un’accurata trattazione di una legge sull’eutanasia. Le volontà di Fabo, come abbiamo accennato prima, sono state espresse in maniera esplicita. La sua condizione infernale – ossia la situazione permanente di dolori terminali – era insostenibile. L’irreversibilità della condizione con cui Antoniani doveva convivere non lasciava spazio ad alcuna speranza: sarebbe stato meglio morire che vivere. La prognosi irreversibile è stata ricordata anche dai pm Sara Arduini e Tiziana Siciliano: <<Quasi per un assurdo scherzo del destino la patologia che l’aveva privato della vista e del movimento non l’aveva reso insensibile al dolore. […] Il corpo, inerte, era percorso da insostenibili spasmi di sofferenza più e più volte al giorno. […] Ecco allora che nello stato in cui si trovava e con l’esito che gli era stato prospettato in caso di rinuncia alle cure (ossia una morte lenta e dolorosa), bisogna riconoscere che il principio del rispetto della dignità umana impone l’attribuzione a Fabiano Antoniani, e in conseguenza a tutti gli individui che si trovano nelle medesime condizioni, di un vero e proprio ‘diritto al suicidio’ attuato in via indiretta mediante la rinunzia alla terapia ma anche in via diretta, mediante l’assunzione di una terapia finalizzata allo scopo suicidario>>. 2 I verbali dei pm pongono l’accento sui concetti di sofferenza e dignità: la prima, in quanto intollerabile, caratterizza la condizione infernale che non è riferita esclusivamente alla sofferenza fisica, ma anche alla sofferenza psicologica; il progressivo peggioramento delle proprie condizioni vitali caratterizza una minaccia alla identità personale, che è parte della dignità di ogni persona. Gli spunti giurisprudenziali del nostro ordinamento reggono sui tratti caratteristici del diritto all’autodeterminazione: con la sentenza n. 2847/2010 i giudici della Suprema corte hanno mostrato come tale diritto rappresenti una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e dei suoi migliori interessi: ciò implica non solo la facoltà di scegliere tra le diverse possibili terapie, come abbiamo evidenziato nei paragrafi precedenti, ma anche di rifiutarle o di interromperle, poiché il principio personalistico che anima la nostra Costituzione vede nella persona umana un valore etico in sé. L’approvazione della proposta di legge sul testamento biologico è significativa per queste motivazioni. La riflessione sul significato di dignità umana comporta l’inevitabile considerazione di due paradigmi morali: l’etica della sacralità della vita e l’etica della qualità della vita. Il primo modello si fonda sulla prospettiva morale secondo cui la vita umana è inviolabile, le norme morali sono un dato divino (o naturale). La nota enciclica Evangelium Vitae (1995) di Giovanni Paolo II afferma: <<La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta ”l’azione creatrice di Dio” e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine>>. Il divieto cattolico di eutanasia si esprime nel Discorso della Montagna, in cui Gesù parla ai discepoli di una giustizia superiore a quella di scribi e farisei: <<Avete inteso che fu detto agli antichi: non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio>> (Mt5, 21-22).
L’etica della qualità della vita, invece, si fonda sul rispetto dell’autonomia individuale: le norme morali sono creazioni umane. La secolarizzazione e il boom delle conoscenze scientifiche in campo biomedico fanno sì che tale etica sia in continua contrapposizione con quella della sacralità. Il cambiamento del mondo si proietta ormai su una direzione innovativa dei valori morali. Il nuovo genera paura presso le forze politiche conservatrici allineate all’opposizione cattolica al relativismo etico. Quest’ultimo non riconosce <<nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione>>.
Tuttavia, sembra lecito chiedersi come si stabilisce il limite oltre cui una vita non può più esser definita dignitosa. La differenza tra i due opposti modelli etici presenta diversi criteri di riferimento. Per i laici, di fondamentale importanza è la vita biografica: essa è costituita dall’insieme di sensazioni, ricordi, progetti, ecc. che caratterizzano una biografia e quest’ultima non può prescindere dalla “senzienza” o capacità di sentire. Ciò che ha valore sono gli stati psicologici che arricchiscono l’esistenza (sia umana che animale). Per chi si muove all’interno della tradizione cattolico-romana, invece, ha valore immenso anche la mera “vita biologica” umana, costituita dal solo complesso dei processi metabolici e organici e, in quanto tale, va tutelata quanto quella biografica. Per tale ragione, la scelta di Antoniani non può esser condivisibile: nonostante la grave malattia, i suoi finalismi vitali (biologici) “sacri” sono da salvaguardare; soltanto la morte ”naturale” è ammissibile. <<Io quantifico la vita in qualità e non in quantità>>: così Dj Fabo, in un’intervista di Giulio Golia, aveva sostenuto la sua decisione di ricorrere al suicidio assistito. L’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000) definisce ”inviolabile” la dignità.
Sarebbe lecito chiedersi, dunque, se attribuire maggiore importanza alla sopravvivenza biologica rispetto all’integrità personale implicherebbe l’imposizione di un dover-vivere, il quale non garantirebbe la tutela di quell’inviolabile dignità. L’arcivescovo Francesco Paglia afferma in un’intervista per Avvenire:
Evidentemente l’eutanasia o il suicidio assistito, poiché procurano la morte, sono contrari alla dignità umana. Mentre tutti quegli interventi che accompagnano e sostengono nel difficile percorso delle fasi conclusive della vita, alleviando la sofferenza e favorendo la comunicazione, contribuiscono a rispettare la dignità della persona. 3
Notevole è la differenza antropologica del ‘prendersi cura’ fra logica cattolica e logica dell’eutanasia: <<Nell’eutanasia ognuno si considera padrone assoluto della propria vita e ne può disporre come crede senza considerare anche il diritto degli altri alla sua compagnia, al suo affetto e al suo amore. Vuol dire tenersi legati sempre. In effetti esiste un diritto-dovere di prenderci cura gli uni degli altri, sempre>>, continua Monsignor Paglia.
Sembra che l’etica della qualità della vita abbia maggiore peso politico in altre nazioni che legittimano pratiche non ancora riconosciute in Italia. Il primo Paese nel mondo che ha legalizzato l’eutanasia è l’Olanda (2002), seguito subito dopo dal Belgio e successivamente dal Lussemburgo (2009). Nei casi di Francia, Spagna, Germania e Svezia si prevede esclusivamente l’eutanasia passiva, ossia l’omissione o la sospensione di un trattamento sanitario necessario alla sopravvivenza del paziente. Nei Paesi non europei come la Cina, l’eutanasia è praticata negli ospedali; in Colombia tale pratica è legittimata dal 1997; anche negli Stati Uniti – nell’ Oregon – è stata ammessa nello stesso anno; in Giappone chi vuole accedere all’eutanasia viene accompagnato da un gruppo di medici che aiuta a prendere una decisione. In Svizzera, il suicidio assistito è accessibile indipendentemente dalla nazionalità del richiedente: non è casuale che questo Paese sia prediletto dagli italiani che decidono di morire. Sarebbe doveroso affermare che non vi sono risposte unanime ed uguali per tutti di fronte a situazioni di malattia in stadi terminali o irreversibili: i dati empirici mostrano reazioni varie. Le decisioni dipendono dal dominio privato e intimo. Ciò determina una pluralità di concezioni filosofiche e religiose della vita che danno forma a un pluralismo etico. Sarebbe plausibile affermare che uno dei compiti dell’etica attuale è quello di riconoscere di un pluralismo etico in cui si muovono prospettive diverse e contrastanti: ciò implicherebbe il fallimento del paradigma ippocratico. Quest’ultimo è un modello, non più un paradigma. Nel caso di Antoniani, ormai la questione non era più se scegliere tra la vita o la morte, bensì come affrontare quest’ultima. Le numerose cure avrebbero soltanto prolungato il processo di morte senza migliorare la qualità della vita. Chiamando in causa Habermas, l’impressionante evoluzione delle biotecnologie pone l’umanità dinanzi a un passaggio essenziale nel processo antropologico riguardante l’autocomprensione non solo etica, ma addirittura di genere dell’umanità. 4 Il Socrate platonico del Fedone intende la morte come una vera e propria guarigione, affermando che <<risulta veramente chiaro che se mai vogliamo vedere qualcosa nella sua purezza dobbiamo staccarci dal corpo e guardare con la sola anima le cose in se medesime>>.5 La storia prova che la Chiesa media concetti di “legge naturale” e di “diritto naturale” per giustificare la propria visione etica in norme giuridiche positive, traducendo il concetto di peccato in figure di reato. Ma in campo etico, nulla più del concetto di natura è un prodotto culturale, un rifiuto di ciò che si accusa di “innaturalità” è solo il rifiuto di ciò che la cultura egemone valuta per sé sconveniente e minaccioso.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
1. Repubblica. it, Biotestamento, Camera approva ddl. Deputati cattolici: “Decretata morte per fame e sete”, Roma/Cronaca, 20 aprile 2017, www.repubblica.it/cronaca/2017/04/20/news/biotestamento_voto_finale-163477977/
2. Corriere della Sera, Milano/Cronaca, Dj Fabo, esiste il «diritto al suicidio». I pm: archiviazione per Cappato, 8 maggio 2017,https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/17_maggio_08/dj-fabo-esiste-il-diritto-suicidio-460c4f2a-33d6-11e7-8367-3ab733a34736.shtml
3. Avvenire.it, Terapie di fine vita. Monsignor Paglia: non c’è spazio per l’eutanasia, 2 marzo 2018, https://www.avvenire.it/attualita/pagine/paglia-non-c-spazio-per-leutanasia
4. HABERMAS J., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale (2001), tr.it. Einaudi, 2002
5. Platone, Fedone, 65B-E, trad. di Giovanni Reale, Milano, Bompiani, 2000
Commenti recenti