Di Federica Falzone

“Perché rivivo le stesse esperienze?” “Perché incontro sempre gli stessi uomini?” “Perché mi innamoro sempre delle donne sbagliate?”. Domande frequenti a cui spesso non sappiamo dare risposta ma che la teoria dell’attaccamento può spiegare.

I colleghi, il partner, i figli, i genitori, i vicini di casa, gli amici, i compagni di squadra, quante persone compongono la vita di ogni individuo, quante relazioni intratteniamo e quante ce ne portiamo dentro.
La vita di ogni uomo si compone di relazioni e sono proprio le relazioni che determinano come si è, come si agisce, cosa scegliamo.
In psicologia, J. Bowlby affermò che gli esseri umani hanno la tendenza innata a stringere legami affettivi preferenziali con altri individui durante tutto l’arco di vita, dalla culla alla tomba. In modo particolare, lo psicologo-psicoanalista britannico, il quale concepì con M. Ainsworth la teoria dell’attaccamento, sottolineò che le relazioni che si instaurano si basano su un modello precoce del legame tra madre e bambino. Le esperienze di attaccamento vengono interiorizzate nel corso del primo anno di vita tramite le numerose interazioni tra bambino e caregiver. Il neonato sa quali comportamenti aspettarsi e stabilisce se la madre è o no la sua base sicura, da cui poter tornare dopo aver esplorato l’ambiente. Successivamente, il bambino elaborerà le esperienze sociali sulla base delle rappresentazioni di attaccamento della sua infanzia, chiamate Modelli Operativi interni. I MOI sono, quindi, rappresentazioni mentali interne che bambini sviluppano sul mondo e sulle persone significative, incluso il Sè. Nei primi anni di vita questi modelli sono aperti al cambiamento se cambia la qualità dell’accudimento. Tuttavia, se i pattern relazionali sono coerenti i modelli operativi si consolidano e si generalizzano sempre più. Se la relazione è stata sana, l’individuo inconsciamente riproporrà quel modello sano nelle altre relazioni e cercherà amici e partner che confermino il suo modello operativo interno e quindi il suo stile di attaccamento. Stessa cosa ma con risultati differenti avverrà se la relazione è stata disfunzionale o patologica e l’individuo tenderà a ricercare nelle relazioni adulte chi rifletterà e confermerà le sue aspettative e credenze. Ad esempio, citando due stili di attaccamento insicuro, è stato riscontrato che individui con stile di attaccamento ansioso/ambivalente sono spesso attratti e attraggono individui evitanti. Per i soggetti ansiosi/ambivalenti, infatti, le questioni centrali della relazione sono la dipendenza, l’affidabilità e il coinvolgimento mostrato dal proprio partner, si preoccupano del rifiuto e dell’abbandono mentre l’evitante è a disagio in situazioni di intimità, nell’esternazione dei sentimenti e quando si sente dipendente dagli altri. Va da sé che relazioni tra questi individui confermano le proprie rappresentazioni interne ma creano un disagio, finendo così per ripetere probabilmente “Incontro sempre le stesse persone”. Esperienze positive ripetute che disconfermano i propri MOI possono modificare lo stile di attaccamento ma è un processo molto delicato e particolare che richiede l’intervento di uno psicoterapeuta. In un percorso psicoterapeutico, infatti, l’individuo avrà modo di creare una relazione sana e di esplorare, attraverso le parole, le sue rappresentazioni interne, identificando temi e pattern ricorrenti, indagando desideri, sogni e fantasie così da poter ristrutturare i MOI.