Di Federica Dell’Aiera
Arriva ogni mese, porta emicranie, dolori addominali, brufoli, stanchezza, sbalzi d’umore e nervosismo. Il ciclo mestruale accompagna ogni donna dallo sviluppo alla menopausa, ciò spesso comporta l’assunzione di farmaci per i sintomi ad esso legato e naturalmente l’acquisto e l’uso di prodotti per gestire l’igiene in quei giorni. Parliamo di tamponi e assorbenti, beni necessari anzi, indispensabili. Eppure in Italia i prodotti per l’igiene femminile sono considerati beni di lusso e per questo vengono tassati con l’IVA al 22%. Un’imposta che è stata decisa nel lontano 1972 da un Decreto del Presidente della Repubblica che ha classificato i beni in commercio e suddiviso in essenziali, quindi con tassazione agevolata e tutto il resto in un’ampia categoria tassata con l’IVA al 22%. È così che troviamo gli assorbenti, ma anche i pannolini per bambini, tra i beni di lusso, automobili, gioielli e televisori.
Diverse ricerche hanno dimostrato come i prodotti resi femminili da confezioni carine, spesso dalle tinte rosa, arrivino a costare anche il doppio rispetto al prodotto in versione “maschile”. È così che si è iniziato a parlare di Pink Tax, la tassa rosa, chiamata così perché nasce da scelte marketing basate su stereotipi di genere, che posizionano un prodotto sul target femminile per renderlo più costoso del prodotto perfettamente identico rivolto al consumatore maschile. In Francia un movimento femminista ha creato un’utile galleria di foto in cui si segnalano le disparità di prezzo, è un semplice ed utile mezzo per “difendersi” da inutili rincari.
Sembra che la soluzione sia semplice e piuttosto scontata, ovvero comprare i prodotti nella versione “maschile”. Ma quando l’alternativa non c’è? Esiste l’alternativa “maschile” di assorbenti, tamponi e della pillola anticoncezionale? È una tassa che si nasconde dietro abitudini di consumo necessarie, scontate e assodate. Non se ne può fare a meno.
Insieme alla “Pink Tax” si è sollevato il dibattito sulla “Tampon tax”, proprio perché un’alternativa “maschile” a questi prodotti non esiste. Seppur in Italia la questione non abbia avuto la risonanza che merita, nel resto del mondo si sono attuati diversi provvedimenti. Francia, Spagna, Olanda e Inghilterra hanno ridotto drasticamente l’imposta. Irlanda e Canada hanno addirittura abolito la tassa. In altri paesi del mondo sono state inoltre promosse iniziative che rendono gratuiti gli assorbenti nelle scuole, vedi Kenya e Svezia.
Ai nostri occhi la “Pink Tax” è un’ingiustizia, solleva questioni legate al genere, alla parità tanto millantata ma mai effettivamente raggiunta.
Nei paesi meno sviluppati la “Pink Tax” è un ulteriore schiaffo alla povertà. Pensiamo ai paesi africani, all’India e a tutte le minoranze disagiate, paesi in cui le donne ancora lottano per l’emancipazione. Paesi in cui all’arrivo del ciclo, le bambine smettono di andare a scuola. Paesi in cui le bambine rischiano gravi infezioni dovute a metodi che chiunque nel mondo “civilizzato” definirebbe “barbarici”. Foglie di banano, sacchetti di sabbia, pezze di cotone, tutti metodi economicamente a costo zero, ma a pagarne il conto è la salute, soprattutto se pensiamo anche alla quasi assenza di acqua non contaminata che aumenta esponenzialmente il rischio di infezioni.
Nel nostro paese diversi anni fa i deputati di Possibile Beatrice Brignone, Giuseppe Civati, Andrea Maestri e Luca Pastorino hanno depositato una proposta di legge in merito, suscitando diverse reazioni e nessuna azione. Qualche mese fa la questione è stata sollevata nuovamente da Pierpaolo Sileri del Movimento cinque stelle. Riuscirà l’Italia ad equipararsi ai virtuosi paesi che hanno adottato provvedimenti?
Il ciclo mestruale non è una scelta, gestirlo non è semplice e nemmeno un privilegio.
Commenti recenti