Di Giulio Scarantino

Crisi d’astinenza è il termine che definisce la sindrome che colpisce chi , a seguito dell’assunzione di dosi elevate di una determinata sostanza della quale non può più fare a meno, affronti un periodo ove riduca o sospenda l’utilizzo di quest’ultima.
Il termine, nel linguaggio comune, è utilizzato non solo in riferimento alle droghe ma anche a tutto ciò che crei dipendenza o rassereni, così da perdere la genesi scientifica (il riferimento ad una determinata sintomatologia) e diventare invece gergo quotidiano .
Esiste però una sindrome speculare e per certi versi analoga: si chiama “crisi di giurisprudenza” .
Come la crisi d’astinenza inizia in un periodo determinato, cioè qualche mese dopo esserti laureato. Un periodo caratterizzato da smarrimento cosmico e spasmodica ricerca di certezze . Quello che accade è il fenomeno opposto alla crisi d’astinenza, infatti non è la dose di diritto che viene a mancare, al contrario è l’abbondanza di infinite quantità di strade che si spalancano a far venir meno qualunque certezza.
Così da diventare una vera e propria crisi d’astinenza di certezze.
Strade che si intrecciano, si separano e che a perdita d’occhio non riesci a vederne la fine.

I sintomi sono diversi: variano ad esempio da rassegnazione a pentimento . Non te ne accorgi quando inizi ad entrare nella spirale: parti con “diritto privato mezzo avvocato” e finisci con eleganti sfilate in Tribunale da sentirti già quasi realizzato . Elegante, impettito e fiero di essere sfruttato e non pagato. Poi pian piano scopri il bluff della vita nel diritto, tra file per notificare e udienze rinviate, fino a comprende l’abisso tra ciò che hai studiato e cos’è invece il mestiere dell’avvocato. Tra termini desueti e super cazzole latine, a tal guisa ti chedi: perbacco dove cappero sono finito? Così capita che durante la deposizione di un consulente tecnico, che in quanto tecnico nessuno sta ad ascoltare, ti viene da pensare: forse dovevo fare il cardiologo.
Nonostante tutto decidi di continuare, tra pusher di diritto e dispensatori di false certezze: scuola forense, corso di magistratura, corsi privati o pubblici , potenziati e formativi, insomma non sai più da dove cominciare.
Nell’ incertezza sei pietrificato e il primo passo sembra come un salto nel buio. Sembra come ritrovarsi in quel film di Tornatore “La leggenda del pianista sull’oceano ” (dal libro di Baricco, Novecento.) che all’ultimo gradino, prima di scendere dalla nave, torna indietro.
“Tutta quella città… non si riusciva a vederne la fine… La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? Era tutto molto bello, su quella scaletta… e io ero grande con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c’era problema.
Non è quello che vidi che mi fermò, Max. È quello che non vidi.
Puoi capirlo? Quello che non vidi… In tutta quella sterminata città c’era tutto tranne la fine.C’era tutto. Ma non c’era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. ”
Succede così anche a noi, affetti dalla crisi di giurisprudenza: immobilizzati di fronte al gradino delle scelte, inconsapevoli della fine, da venir voglia di tornare indietro e rifugiarsi nella nave dell’indecisione. Chissà forse farò l’avvocato, il magistrato o il giornalista? Oggi o domani un concorso e si vedrà. Basta. Bisogna essere concreti: Posto fisso e discreta retribuzione. E se invece volessi fare il professore?

Hai studiato per cinque anni ma non riesci a sentirti preparato: stage, tirocini e dottorati sono solo un espediente per rinviare l’incubo del concorso per diventare magistrato o l’esame d’ avvocato .
Hai una laurea magistrale,sei sul pulpito di un’ aula del Tribunale e mentre il CTU continua a spiegare, tutto ciò che ti viene da pensare è ” chissà, magari il prossimo anno decido di scappare.”

Se però tu che leggi sei d’accordo magari riuscirai a sentirti meno solo. Siamo in tanti stai sicuro, prima o poi andremo giù dall’ ultimo gradino tenendoci per mano.