Indagine sul peccato che condannò all’inferno il mitico Odisseo
di Ivan Ariosto

Tra gli innumerevoli dannati, più o meno conosciuti, incatenati da Dante a scontare la loro pena nelle tragiche orbite infernali, la presenza più sorprendente – ed apparentemente più inspiegabile – è certamente quella dell’eroe descritto da Omero nella celebre Odissea.

Nel XXVI canto dell’Inferno, infatti, Dante incontra proprio Ulisse, condannato a scontare le proprie colpe nella bolgia dei consiglieri fraudolenti.

Ma perché un personaggio che nell’immaginario comune incarna da secoli il simbolo dell’avventura, del coraggio e della forza d’animo è condannato dal “sommo poeta” a marcire all’inferno? Come può l’eroe Ulisse essere un dannato? Questo dilemma, oltre a nascere spontaneamente nella mente di ogni lettore, ha interessato per anni i critici letterari e gli studiosi della “Commedia”.

Secondo alcuni, Ulisse si trova all’Inferno in quanto “scelerum inventor”, ovvero in quanto inventore di menzogne, avendo conquistato Troia con l’inganno del famoso cavallo. Tuttavia, ciò non spiegherebbe la sua collocazione nella cerchia dei consiglieri fraudolenti, dato che l’idea usata per sconfiggere il nemico si rivelò tutt’altro che mendace!

Secondo altri, il peccato dell’eroe omerico sarebbe l’aver ingannato l’amore della moglie Penelope e del figlio Telemaco, a cui – una volta tornato dal suo lungo viaggio – promise che non si sarebbe mai più allontanato dal suo regno ritrovato, per poi invece intraprendere un nuovo viaggio senza più ritorno. Ma anche questa visione non sembra essere pregnante.

In realtà, la vera risposta va rintracciata nel pensiero filosofico dantesco, espresso nel «Convivio»: per Dante, l’uomo non può raggiungere la piena conoscenza del mondo per mezzo dei soli sensi, poiché parte di questa conoscenza non è a lui accessibile se non attraverso la fede nel divino.

Ulisse è, invece, del tutto antitetico a tale visione: la sua sete di conoscenza prescinde del tutto dal divino, ma è legata esclusivamente al mondo naturalistico. Ulisse viaggia da solo, senza meta e senza nessuna missione da compiere, privo di quella chiamata divina che anima invece il viaggio dantesco. Il re di Itaca è il simbolo della pura conoscenza materiale della realtà, che finisce inevitabilmente per escludere la destinazione finale (paradiso, purgatorio, inferno) indicata da Dio. Per questo, nella logica dantesca, egli è eretico e dunque peccatore.

Ulisse diviene, pertanto, lo strumento con cui Dante chiarisce che una conoscenza umana esclusivamente legata alla realtà naturale, esclude la speranza di qualsiasi mondo soprannaturale dopo la morte: se vivere è soltanto percepire la realtà attraverso i sensi, nel momento in cui nulla potrà più percepirsi – giunti al culmine dell’esistenza – tutto si esaurirà.